Dossier: La Nuova Via della Seta-1

a cura di Alice Pistolesi

Il più grande progetto di diplomazia economica dai tempi del Piano Marshall o un nuovo strumento di espansionismo cinese? Opportunità e benefici per tutti o l’affermazione di un impero globale? I punti di vista attorno al progetto Belt and Road Initive (BRI) o Nuova Via della Seta sono molto diversi e spesso contrastanti.

Secondo la Cina si tratta di un progetto pacifico di rilancio della globalizzazione e del libero commercio che si fonda sulla logica del “win-win” (vincere-vincere) tra il gigante cinese e i Paesi partner. Questa logica, un perno della diplomazia cinese, è stata utilizzata anche per giustificare la ‘conquista’ del Continente africano di cui abbiamo parlato in un precedente dossier, sottolineando che in vari casi la vincita era quasi esclusivamente cinese.

Alcuni osservatori contestano il concetto di duplice vantaggio per Pechino e i suoi partner: secondo loro la Via della seta è solo la  proiezione della potenza cinese nel mondo.

Uno dei cavalli di battaglia della politica internazionale cinese è la non ingerenza  negli affari interni dei Paesi partner. In realtà i critici del progetto rilevano che non sia proprio così. Nel 2017 per esempio la Grecia ha bloccato una risoluzione europea alle Nazioni Unite critica nei confronti dei diritti umani in Cina. In altri casi la Cambogia, Paese molto allineato con Pechino, ha bloccato risoluzioni nell’Asean (l’associazione dei Paesi del sudest asiatico) o ha giocato in sede internazionale a favore della politica della Rpc della “One China” (contro Taiwan)

L’influenza cinese in Europa si sarebbe concretizzata, secondo vari osservatori, anche il 5 marzo 2019, quando l’Italia (unico Paese membro insieme alla Gran Bretagna) si è astenuta nel voto in Consiglio Ue sul regolamento che introduce nuove norme per esercitare un miglior controllo sugli investimenti diretti provenienti da Paesi terzi per motivi di sicurezza o di ordine pubblico.

E ancora, secondo molti, la Via della Seta è prima di tutto un progetto finalizzato a dare sfogo alla sovracapacità produttiva interna del Paese: in molti casi oltre il 90 per cento dei lavori viene affidato ad aziende cinesi e in altri casi la manodopera viene direttamente “importata” dalla Cina.

I detrattori del progetto sostengono che è stato pensato per sopperire all’aumento dei costi di produzione dei prodotti cinesi e per fronteggiare  il calo dell’economia nazionale perché sulla Nuova Via della Seta transiterebbero  principalmente i prodotti cinesi. Altrettanto vero è però che il progetto è stato pensato assai prima del raffreddamento dell’economia cinese (quindi semmai per impedirne un eccessivo riscaldamento) e che gli investimenti in infrastrutture (porti, strade, ferrovie), se aiuteranno l’export cinese, favoriranno l’import di altre merci e rimarranno comunque beni stabili del Paese dove sono stati costruiti.

Quali che siano le motivazioni strategiche ed economiche cinesi e i vantaggi che la Rpc intende derivarne, è infatti  difficile negare che si tratta di un piano di investimenti mastondotico su quasi l’intero pianeta  in un momento in cui la tentazione di molti Paesi è quella di chiudersi, di costruire muri e non certo strade  e ponti. Tanto che i cinesi sono diventati i più fervidi difensori della globalizzazione e della vecchia dottrina europea del laissez faire, la regola aurea del libero mercato.

Di seguito una nostra riproduzione su mappa di quello che probabilmente sarà la Nuova via della Seta

Che cosa è la Nuova Via della seta

La Nuova Via della Seta, anche detta One Belt One Road, una cintura e una strada, è un piano di investimenti globali in infrastrutture lanciato dal presidente cinese Xi Jinping nel 2013. Secondo la Cina 67 Paesi hanno firmato il Memorandum di intesa che anche l’Italia sta discutendo.

Le stime di investimento variano tra i mille e gli 8mila miliardi di dollari. Il Paese maggiormente coinvolto è il Pakistan, con cantieri per 60 miliardi.

L’iniziativa prevede la costruzione di strade, ferrovie, porti, centrali energetiche e ha due direttrici principali da Est a Ovest che arrivano in Europa. Quella terrestre passa attraverso l’Asia centrale, mentre quella marittima attraversa l’Oceano Indiano fino all’Africa. Per l’Italia si ipotizza un investimento nel porto di Trieste o di Venezia.

L’iniziativa nasce da un annuncio di Xi, pronunciato alla Nazarbayev University di Astana, in Kazakistan, nel settembre 2013.

Si è parlato ancora del progetto nel 2017 a Pechino in occasione del primo forum internazionale sulla Belt and Road Initiative: all’evento l’Italia partecipò, come unico Paese del G7 con il premier Paolo Gentiloni. Interesse coltivato anche dal governo Lega-Cinque Stelle. Il vice presidente del Consiglio, Luigi Di Maio, ha effettuato due visite in Cina. A Shanghai per l’inaugurazione della prima China International Import Expo, Di Maio aveva sottolineato l’importanza dell’iniziativa lanciata da Xi per l’Italia.

Un secondo forum è previsto, sempre a Pechino, per aprile 2019.

Negli accordi è previsto un ruolo centrale anche per l’Egitto, che diventerà uno dei protagonisti della Nuova Via della Seta.

Insorgono gli Stati Uniti

Il maxi progetto della Via della Seta non va a genio agli Stati Uniti. Garrett Marquis, il portavoce del National Security Council della Casa Bianca, ha preso posizione in merito all’ipotesi che l’Italia possa fare da apripista tra i Paesi del G7 all’iniziativa infrastrutturale cinese sottolineando che il sostegno del governo italiano difficilmente “porterà benefici sostanziali” al Paese.

Il dipartimento di Stato Usa ha dichiarato all’agenzia Ansa: “Continuiamo a sollecitare l’Italia ad esaminare attentamente gli accordi commerciali e gli investimenti per garantire che siano economicamente sostenibili, che si ispirino ai principi del libero mercato di apertura ed equo accesso, e che rispettino la sovranità e il ruolo della leggi. Rimaniamo preoccupati per l’opacità e la sostenibilità degli accordi per la Belt and Road Initiative (Bri)”.

Inoltre un tema cavalcato dagli Usa è quello della reputazione globale dell’Italia e in generale dei Paesi Occidentali che fanno accordi con la Cina, soprattutto a causa del rapporto della Cina nell’ambito dei diritti umani.

“Anche nelle economie sviluppate – prosegue la stessa fonte – gli investimenti statali possono essere compromessi dalla corruzione e non avere come priorità in generale lo sviluppo economico. Non dobbiamo evitare di discutere le vere sfide che la Bri presenta nella sua attuale forma opaca e sbilanciata, o il fatto che la Bri abbracci una serie differente di standard e di principi”. “Inoltre – aggiunge – quando sono coinvolti attori statali gli investimenti possono essere usati per far avanzare obiettivi strategici”.

Il rilancio della Nuova Via della Seta si inserisce poi in un momento di forte guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti, che ha nella questione del colosso della tecnologia cinese Huawei e nei nuovi dazi doganali, due campi di battaglia.

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