Dossier/ Suez e gli altri ‘chokepoints’ del mondo

Il blocco del Canale di Suez da parte della nave porta container Ever Green ha riacceso i riflettori sul trasporto marittimo globale sottolineando quanto gli equilibri economici mondiali dipendano da lingue di mare strategiche.

In questo dossier passiamo in rassegna alcune questioni collegate ai quattro chokepoints sparsi nel mondo.

*In copertina Photo by Rafik Wahba on Unsplash, di seguito la mappa di transportgeography.org

Suez, Egitto e Cina

Il canale di Suez, nodo strategico per i traffici marittimi mondiali, è un canale artificiale che permette la navigazione dall’Europa all’Asia, senza la necessità di circumnavigare l’Africa sulla rotta del Capo di Buona Speranza. Il canale consiste di due tratte, a Nord e a Sud del Grande Lago Amaro.

La nuova opera infrastrutturale collegata al canale (costruita in tempi record e costata 8miliardi di dollari) è stata inaugurata nell’agosto del 2015. Questa modifica permette alle navi di transitare in entrambe le direzioni lungo tutto il percorso del canale, riducendo i tempi di transito e aumentando il numero dei passaggi delle navi e la dimensione delle unità di transito. Dopo l’allargamento, il tempo di percorrenza del Canale è passato da 18 ad 11 ore e il numero di navi che transitano ogni giorno è aumentato da 49 a 97, agevolando le rotte commerciali tra Asia ed Europa.

Questa imponente modifica si inserisce all’interno del progetto cinese Belt and Road Initiative (BRI), che ha nel passaggio attraverso Suez una tappa obbligata della rotta commerciale da Pechino all’Europa e viceversa. La Cina ha infatti investito in Egitto moltissimo. Tra il 2014 e il 2019 ha destinato a Il Cairo 16,36miliardi di dollari ed è stato scelto come hub logistico privilegiato per tutta la regione del Mediterraneo Orientale costruendo ad Abu Qir di un importante terminal per gestire fino a 1milione di container. Il Governo egiziano ha poi sviluppato la Suez Canal Zone, che ha visto la creazione di una vasta Zes (Zona economica speciale) riservata alle merci cinesi, mentre la Russia ha recentemente costruito una Russian Industrial Zone.

Lo stretto di Hormuz

Lo Stretto di Hormuz mette in comunicazione l’Oceano Indiano con il Golfo Persico. Nell’imbuto di appena 21 miglia di larghezza, passa un quinto delle esportazioni di petrolio del mondo. A convergere nello stretto è tutto il traffico navale dalle nazioni del Golfo ricche in materie prime energetiche, comprese le esportazioni di greggio e di gas liquido da Iran, Kuwait, Bahrain, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Il 30% del petrolio greggio passa attraverso questa via d’acqua.

Tra i Paesi esportatori che utilizzano questo braccio di mare ci sono soprattutto l’Arabia Saudita con 6-7 milioni di barili, seguita da Iraq, Kuwait, Emirati e Qatar. Verso l’Estremo Oriente si dirige il 76% del petrolio che esce dallo Stretto, in particolare verso Cina (circa 3milioni di barili giorno), India, Giappone, Corea del Sud e Singapore. Ma anche gli Stati Uniti dipendono in qualche misura dal greggio del Golfo Persico: nel 2018 hanno importato circa 1,4milioni di barili al giorno.

Lo stretto è anche il punto nevralgico della tensione che si accentua fra Usa ed Iran e che lo ha visto al centro di vari attacchi a petroliere. Nel 2019, circa 19,5milioni di barili al giorno di condensati grezzi e di gas naturale – utilizzati nella produzione di olio pesante – sono transitati per lo stretto. Con un consumo globale di petrolio di circa 100 milioni di barili al giorno.

Lo stretto si compone di due corridoi di appena 2 miglia di larghezza, uno per le navi in uscita e uno per quelle in entrata. Hormuz è di particolare importanza per l’Iran in quanto è la principale via di esportazione del petrolio e quindi cruciale per la loro economia.

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