Dossier/ Un mondo sempre più in fuga

È aumentato ogni anno, negli ultimi dieci anni, il numero di coloro che sono stati costretti a fuggire dalla proprie case. Nel 2021 si è raggiunto un nuovo record, arrivando al livello più alto di sempre.

Secondo Global Trends il rapporto annuale pubblicato nella Giornata del Rifugiato dall’Unhcr alla fine del 2021, i profughi  a causa di guerre, violenze, persecuzioni e violazioni dei diritti umani erano 89,3milioni, l’8% in più rispetto all’anno precedente e ben oltre il doppio rispetto a 10 anni fa. A questi si sommano i profughi provocati dall’invasione russa dell’Ucraina (la più rapida e una delle più grandi crisi di sfollamento forzato dalla seconda guerra mondiale) e altre emergenze, dall’Africa all’Afghanistan che hanno portato il totale a 100milioni di persone.

In questo dossier si analizza il report di Unhcr e si riporta il caso Grecia con il dossier realizzato da Europe Must Act e in collaborazione con il Samos Advoacy Collective.

Sfollati interni e cambiamento climatico

Il numero degli sfollati interni, soprattutto a causa di conflitti e violenze è in aumento. Alla fine del 2021 erano registrati 51,3milioni di sfollati interni, 2,7milioni in più rispetto alla fine del 2020. Il 2021 ha infatti visto il 15esimo  aumento annuale consecutivo delle persone sfollate all’interno dei loro paesi a causa del conflitto. Nel corso dell’anno l’Unhcr ha dichiarato 11 nuove emergenze di sfollati interni in otto paesi tra cui Afghanistan, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Mozambico e Myanmar. Le insurrezioni nel Sahel hanno provocato nuovi sfollamenti interni, in particolare in Burkina Faso e Ciad. 

Un altro elemento distintivo del 2021 è stato il consolidarsi dell’interconnessione tra cambiamento climatico, povertà, insicurezza alimentare, conflitto e sfollamento. Sempre più persone, infatti, cercano sicurezza e protezione di fronte alle minacce legate al clima. Tra i tanti esempi dell’anno appena trascorso ci sono le inondazioni hanno colpito il Sud Sudan e i rifugiati Rohingya, l’Afghanistan e la Somalia che hanno sofferto siccità devastanti e la diminuzione delle risorse idriche che ha scatenato conflitti in Camerun. Il 90% dei rifugiati proviene da Paesi in prima linea nell’emergenza climatica. Ma la fuga non è garanzia di sicurezza: oltre il 40% dei rifugiati e il 70% degli sfollati interni vivono in Paesi altamente vulnerabili ai cambiamenti climatici.

Il caso Grecia: il campo militarizzato di Somos

Oltre al rapporto di Unhcr il 20 giugno è stato pubblicato anche il report di Europe Must Act e del Samos Advocacy Collective. Un documento che racconta le esperienze di richiedenti asilo e rifugiati che vivono nei campi profughi militarizzati sull’isola greca di Samos. Nel settembre 2021, infatti, le autorità europee e greche hanno inaugurato il ‘Closed Controlled Access Center’ di Samos, il primo dei cinque campi chiusi finanziati dall’Ue da costruire sulle isole dell’Egeo. Attraverso un progetto congiunto ricercatori e attivisti sul campo stanno intervistando i residenti della struttura per scoprire com’è veramente la vita all’interno. Facendo seguito al precedente rapporto pubblicato nel dicembre 2021, il testo è incentrato sulle testimonianze e le esperienze personali delle persone che “vivono come in un carcere struttura, fornendo ancora un’altra prova che il centro finanziato dall’Ue non sostiene i fondamentali diritti e libertà delle persone che cercano rifugio e che le migliori condizioni di vita promesse da le autorità all’apertura del campo sono solo un sogno infranto”.

Per fare alcuni esempi: da febbraio 2022 in tutta la struttura non c’è personale medico. A maggio invece un problema tecnico ha causato una carenza d’acqua lasciando i residenti del campo con accesso limitato ai servizi idrici per 15 giorni consecutivi. I gruppi denunciano anche la sorveglianza estrema del campo, continuamente esposto al controllo tramite droni, telecamere a circuito chiuso e un’elevata presenza di polizia. Ma non s’è solo il caso di Samo. Sulle isole di Leros e Kos due nuovi Closed Controlled Access sono stati recentemente inaugurati. Gli attivisti definiscono “allarmante” che “negli ultimi tempi mesi, altri paesi e i loro leader hanno mostrato interesse a replicare il nuovo accampamento di Samos, percependolo come un “modello di best practice”.

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