Il Centro e Sud America che migra dentro e fuori

Il Pianeta è in movimento. I flussi migratori interessano tutti Paesi, tutti i Continenti, regalandoci la geografia di un mondo che si sposta, che reagisce alla realtà del proprio tempo, che cerca un riscatto.

Per questo l’Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo ha deciso di continuare ad occuparsi attraverso i propri approfondimenti di come il mondo si sposta. Dopo il notiziario relativo ai dati forniti da Unhcr, quello relativo alle rotte dei migranti verso l’Europa e quello dedicato al continente asiatico, spostiamo l’attenzione sulle Americhe.
Il rapporto 2017 dell’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, l’agenzia collegate alle Nazioni Unite) disegna per l’America Latina un quadro composto di più facce: c’è un incremento della migrazione interna, ma continua anche quella che porta fuori dai confini ‘regionali’. Si tratta quindi di una regione di origine, destinazione e di transito per migranti internazionali.

Secondo il rapporto nel 2017, il Sud America è stato interessato da tendenze migratorie nuove per l’area. Tra queste ci sono l’aumento delle migrazioni intraregionali, la crescita numerica delle persone in movimento, la diversificazione tra i paesi d’origine e di destino per chi decide di andare extra-regione. Allo stesso tempo, permane la emigrazione extra-regionale. Il primo trend ci descrive un fenomeno inedito: i sudamericani cercano di spostarsi all’interno dello stesso Sud America. E infatti circa il 70% dell’immigrazione del Sud America è all’interno della macro regione.

Stando ai dati forniti dal rapporto OIM dal 2010 al 2015, la migrazione fra Paesi sudamericani è cresciuta dell’11%, coinvolgendo da 3.566.510 a 3.986.756 di persone.

In linea generale, quindi, possiamo dire che alcuni trend migratori variano e sono in crescita, ma la regione mantiene la sua duplice natura: si parte dall’America Latina e si arriva in America Latina.

Già nel 2015 l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), nel rapporto dal titolo “Dinamiche migratorie in America Latina e i Caraibi e tra America Latina e Unione Europea” aveva rilevato che qualcosa stava cambiando. Più di 181mila cittadini europei hanno lasciato i loro Paesi per raggiunge il Sud America. Contemporaneamente, 119mila latino americani si erano spostati in direzione opposta. I dati mostravano una diminuzione del 68% di quest’ultimo flusso rispetto al 2007, quando il numero di migranti dall’America Latina e dai Caraibi verso l’Europa aveva superato i 375mila, il livello più alto mai raggiunto.
Comunque sia, sudamericani continuano a spostarsi all’estero e, soprattutto, a sognare gli Stati Uniti. Una rotta da tenere sotto osservazione è infatti quella che porta i migranti ad attraversare il Messico, Paese sempre più in preda alla violenza dei narcos, per approdare negli Usa.

La rotta, per quanto ancora molto battuta, ha però subito un calo, che le statistiche del Census Bureau degli Stati Uniti rilevavano attivo già dal 2010. Nel quinquennio 2010-2015 si è infatti assistito ad una diminuzione dello stock totale dei migranti sudamericani negli Stati Uniti del 15%.

Attraverso il Messico

Una delle rotte più battute dai migranti è – appunto –  quella che attraversa il Messico e che ha come destinazione finale gli Stati Uniti.

La statistica per chi ce la fa a varcare il confine non è rosea: più del 80% non centra l’obiettivo e finisce nel vortice delle deportazioni.

Il Messico è infatti il principale ostacolo per i migranti. Qui vengono bloccati e detenuti moltissimi di quelli che tentano di scavallare il confine. La maggior parte di chi attraversa il Messico viene dal Nicaragua, dal Salvador, dal Guatemala e dall’Honduras. I più poveri, quelli che non hanno soldi per pagare un più sicuro transito con trafficanti, si affidano a bande criminali e finiscono per essere sequestrati o ridotti in schiavitù prima di arrivare negli Stati Uniti.

Ovviamente a questi dati sfuggono gli invisibili, coloro che hanno fatto perdere le proprie tracce nella traversata.

Le stime più attendibili sul numero di persone scomparse durante il viaggio attraverso il Messico si basano sul secondo Rapporto Speciale sul Sequestro di Migranti in Messico, realizzato dalla Commissione Nazionale dei Diritti Umani nel 2011, che riporta 214 sequestri con un totale di 11.333 vittime in soli sei mesi. Ma dove vanno a finire i migranti scomparsi?

Moltissimi finiscono nelle mani della criminalità organizzata, vittime dei cartelli di narcotraffico, che in molte aree della Federazione Messicana la fanno da padrone. In questi anni, molti sono stati i casi ritrovamenti di cadaveri. Solo per citare qualche caso: tra il 22 e il 23 agosto 2010, 72 migranti di centro e sud America sono stati assassinati a San Fernando (Tamaulipas). Nell’aprile 2011, almeno 193 persone sono state trovate in fosse clandestine in quel comune e a Cadereyta.

Il 13 maggio 2013 quarantanove cadaveri decapitati e mutilati sono stati abbandonati su un’autostrada vicino alla città di Monterrey.

A maggio 2016, le attiviste del Collettivo Solecito sono riuscite a localizzare nei pressi di Colinas di Santa Fe (Veracruz), la fossa clandestina più grande mai ritrovata in Messico, con più di 250 corpi  alla fine riesumati.

In questo contesto di totale insicurezza è poi da sottolineare il Piano Mérida sottoscritto tra Stati Uniti e i Paesi centroamericani. L’accordo ha come obiettivo il controllo del transito migratorio verso gli Stati Uniti e si inserisce nel contesto dell’Alleanza per la Sicurezza e la Prosperità dell’America del Nord (ASPAN).

Da segnalare anche il Programma Confine Sud (Programa Frontera Sur). Nell’ambito di questo piano i Paesi coinvolti hanno promosso massicce campagne istituzionali per scoraggiare la migrazione. In Messico sono stati creati i Centri per il Supporto Integrale al Transito Frontaliero (CAITF) e il programma “Passaggio Sicuro” per il confine meridionale del Messico.  In Guatemala il territorio è stato militarizzato con nuove “task force” che, con il finanziamento degli Stati Uniti, vengono schierate al confine con Honduras ed El Salvador. L’arrivo negli Stati Uniti è poi reso quantomeno più disagevole dal muro che segnala il confine. L’anno di inizio di costruzione del cosiddetto muro di Tijuana è il 1994 ed è lungo circa mille chilometri. La motivazione data alla costruzione della barriera, fortemente sponsorizzata dall’attuale amministrazione USA, è quella di impedire l’arrivo di migranti irregolari e bloccare il traffico di droga. 

La migrazione interna

Ad oggi, i Paesi del Sud America che più attraggono i vicini sono Argentina e Venezuela, anche se i dati su quest’ultimo potrebbero subire variazioni dovute alla crisi politica che il Paese sta attraversando.

Le immigrazioni in Argentina sono cresciute del 16% negli ultimi 5 anni analizzati dal rapporto OIM, mentre in Venezuela del 5,99%. I due Paesi, quindi, sono i primi in termini assoluti (2 milioni le persone sudamericane in Argentina e 1,4 in Venezuela) ma in percentuale si nota una crescita notevole anche per Brasile con un +20% di immigrati sudamericani, per il Cile +18% e per la Bolivia +16%. Le tre comunità che più si muovono in Sud America provengono da Paraguay, Argentina e Venezuela, mentre fanalino di coda è il Brasile, dove solo il 29% degli emigrati totali opta per il trasferimento in un Paese confinante.

La migrazione interna è stata favorita dalle misure del Mercosur e della Comunità Andina. Per fare un esempio: nell’ambito di questi accordi, in Argentina paraguaiani e boliviani hanno ricevuto rispettivamente 280.030 e 161.262 alloggi.

In più, ai cittadini sudamericani, grazie all’accordo di residenza del 2002, è stata concessa la residenza legale agevolata. Inoltre non serve il passaporto per viaggiare, né un visto turistico per chi vuole rimanere fino a 90 giorni.

Nella direzione della facilitazione dell’accoglienza tra vicini stanno legiferando anche altri Stati: il Brasile ha approvato nel 2017 una legge sull’immigrazione che abroga quella dei tempi dittatura militare del 1980 e in Perù è stata varata la Politica Nazionale 2017-2025, che si ispira ai principi della migrazione dettati dalla risoluzione OIM del 2015.

Secondo l’OIM questa tendenza intraregionale ha anche altre ragioni: le politiche restrittive d’ingresso e accesso alla residenza nei Paesi sviluppati, la crisi economica negli USA e in Europa e le maggiori opportunità di lavoro e facilitazioni normative nella regione.

Ezequiel Texidó, esperto in consulenza internazionale, investigazione e gestione nel campo migratorio, oltre che docente universitario, che ha partecipato alla stesura del rapporto OIM 2017, sostiene che “in termini generali, la maggior parte dei migranti della regione condivide lo stesso idioma e caratteristiche culturali simili, che agevolano l’integrazione. La migrazione intraregionale rimane comunque un tratto storico, che nei prossimi anni si manterrà con minore o maggiore intensità”.

L’immigrazione non-sudamericana è caratterizzata soprattutto da questi flussi: dalla Repubblica Dominicana verso Argentina e Cile; da Haiti verso il Brasile; da Cuba verso Colombia, Ecuador e Brasile.