La Cina in Centro e Sud America

A grandi e decisi passi la Cina è arrivata in America. Dopo la ‘conquista’ del  continente africano gli investimenti del Gigante Asiatico sono sbarcati in Centro e Sud America.

Partiamo da qualche numero. Dal 2005 al 2013 la Cina ha investito in America Latina 102 miliardi di dollari.

Nell’estate del 2014 durante il viaggio del premier Xi Jinping nella marco regione sono stati firmati 29 accordi di cooperazione con Cuba, rafforzati i legami col Venezuela, stipulati nuovi contratti con l’Argentina per la realizzazione di due dighe presso Santa Cruz (4,4 miliardi di dollari), per la ristrutturazione di una delle linee ferroviarie più importanti per i trasporto merci (2,1 miliardi di dollari), per lo sviluppo della quarta centrale nucleare del Paese e la costruzione di 11 navi (423 milioni di dollari).

La Cina, inoltre, ha fatto investimenti per circa 7 miliardi di dollari nella compagnia pubblica brasiliana Petrobras.

In crescita anche gli investimenti diretti, anche se i 9 miliardi investiti in Sud America sono ancora ben lontani dai 41 investiti dalla Cina in Africa e dai 25 in Europa.

Il legame con gli Stati americani si rileva anche nelle esportazioni dirette. Per fare qualche esempio, il 18% delle esportazioni del Perù arrivano in Cina, così come il 15% di quelle cilene e il 13% delle argentine e peruviane.

Nel piano quinquennale del 2015 il Partito comunista cinese aveva grandi progetti per l’America Latina con investimenti da 250 miliardi di dollari nella regione, soprattutto in materie prime e nelle infrastrutture.

In Centro e Sud America si discute di nuove miniere, impianti per l’estrazione del petrolio, canali, porti e strade da costruire impiegando lavoratori e aziende edili cinesi. Finora poco è stato realizzato, ma gli immigrati cinesi sono in aumento.

A primo impatto  può non sembrare ma gli interessi sono reciproci. Il Venezuela, per esempio, economicamente e politicamente vicino al collasso, sopravvive grazie ai crediti concessi dai cinesi. In cambio, questi si assicurano diritti sul petrolio di Caracas.

I numeri confermano quel che pensano molti osservatori,  concordi nel rilevare che nello scontro economico del continente ad uscirne vittoriosa potrebbe essere è stata la Cina, surclassando Stati Uniti ed Europa.

E con gli Stati Uniti è stato e sarà il vero terreno di scontro. Un nodo cruciale passa da Panama. Gli Stati sudamericani e la Cina si stanno infatti adoperando per aggirare il Canale, sotto influenza degli Usa (vedi approfondimento 1).

Difficile capire, invece, come vivono i sudamericani questa presenza cinese. Poche infatti le informazioni sulle reazioni della popolazione, probabilmente anche perché il livello di infiltrazione non ha (ancora) raggiunto i livelli africani. Inoltre la strategia della Cina in Sud America, può risultare vincente nel dimostrarsi un affidabile interlocutore internazionale, promuovere lo sviluppo di relazioni  pacifiche e garantire una fiducia diffusa e vantaggi reciproci.

Canale e ferrovia contro Panama

Tra gli impegni futuri della Cina in America del Sud è necessario tenere sotto osservazione il mastodontico progetto che riguarda il canale del Nicaragua.

Il nuovo canale dovrebbe unire l’Atlantico al Pacifico, ponendosi come alternativo a quello di Panama. I lavori di scavo del canale, lungo 276 chilometri, sono stati stimati in 50 miliardi dollari.

Il governo centramericano ha manifestato più di una volta la propria volontà di affidare i lavori proprio ad una compagnia cinese. La HKND ha infatti ottenuto una concessione di 40 anni per la gestione del canale, con un’opzione per un rinnovo di altri 50 anni.

L’impatto del canale è enorme e, secondo molti osservatori, coinvolgerà l’intera regione sul piano geologico, ambientale, sociale e geopolitico.

L’opera faraonica taglierà il paese a metà, spezzando la continuità dell’ecosistema. Il canale di navigazione sarà profondo almeno 30 metri, largo da 230 a 520, lungo 278 chilometri (il canale di Panama è lungo 77 chilometri) e attraverserà vaste aree di foresta vergine e la maggiore riserva di acqua potabile del Centroamerica: il lago Nicaragua.

Le conseguenze non sono immaginabili ma si può prevedere che verranno distrutti migliaia di chilometri quadrati di boschi e di zone umide della riserva protetta di San Miguelito, con danni all’habitat di almeno 22 specie già a rischio di estinzione.

Per aggirare il canale di Panama, controllato dagli Stati Uniti c’è poi un ulteriore piano. Questa volta protagonista è il Brasile, che ha firmato con Pechino un accordo per promuovere la realizzazione di una tratta ferroviaria transcontinentale di 212 chilometri che colleghi le coste centrali del Brasile a un grande porto in Perù. L’infrastruttura, che permetterebbe di risparmiare su tempi e costi per le esportazioni di materie prime, comporta un investimento di 30 miliardi di dollari con una sostanziosa partecipazione di investitori cinesi, invitati a creare sul territorio nuove imprese e posti di lavoro. Questo accordo si inserisce in un ragionamento basato su un nuovo asse da tenere in considerazione: il Brasilia-Pechino.

Entrambi gli Stati fanno infatti parte dei Brics (l’acronimo delle iniziali dei cinque Stati con le economie in ascesa: Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) e la complementarietà delle loro economie è secondo molti destinata a crescere e affermarsi.

Il caso Suriname

Il Gigante asiatico è sbarcato anche nel Suriname. Il piccolo Stato centroamericano con capitale Paramaribo è coperto per la metà da una porzione di foresta amazzonica particolarmente ricca di materie prime: legno, oro, diamanti, bauxite e potenziali terreni agricoli.

Un reportage di Thomas Fischermann per il Die Zeit pubblicato sull’edizione italiana del settimanale Internazionale  (numero 1243) analizza l’infiltrazione asiatica nel Paese. (non ho con me quel numero, poi aggiungo autore e gli altri dettagli)

Secondo il reportage la Cina fa, da anni, affari d’oro nel Paese, concedendo crediti a condizioni di favore al governo del Suriname, anche quando il paese era in crisi.

Gli imprenditori cinesi hanno investito nel Paese costruendo centinaia di alloggi popolari e  strade. Inoltre lo Stato deve riconoscenza alla Cina anche per l’equipaggiamento militare con i veicoli migliori e la costruzione di un nuovo ministero degli esteri.

Il governo cinese è presente a Paramaribo con un’ambasciata sfarzosa e ha uffici di rappresentanza di diversi enti.

Ma lo sviluppo cinese non comprende l’evoluzione dell’industria locale: la Cina infatti utilizza gli Stati per le materie prime, che vengono poi lavorate e raffinate in Patria.

I titolari delle segherie e i produttori di mobili, per esempio, non hanno mercato nel  Suriname: il paese si è infatti riempito di aziende cinesi, che comprano legno per esportare all’estero i tronchi non lavorati. Il 60% del legno grezzo finisce in Cina.

Oggi un terzo dei 30mila imprenditori del Suriname è iscritto alla camera di commercio cinese. A volte i commercianti cinesi subiscono rapine: per questo girano armati.

Secondo le statistiche ufficiali, in Suriname il 10% della popolazione è di origine cinese ma come accade anche in Africa, continuano a vivere tra loro.

I cinesi nel piccolo Stato possiedono 17 associazioni, un club sportivo, una rete tv che trasmette in mandarino, un quotidiano, una scuola, un bar karaoke e locali notturni esclusivi dove gli stranieri di solito non entrano.