Le pericolose relazioni del mondo nucleare

Lo abbiamo visto: sono ancora molte le armi nucleari pronte a colpire. Armi che restano quindi un elemento cruciale nei rapporti di potere.  Anche dopo la fine della Guerra Fredda, quindi dell’era dei due blocchi contrapposti, lo strumento nucleare rimane, per chi l’ha,  una garanzia di forza, un modo per mantenere il proprio ordine economico e sociale.

Una buona notizia c’è stata. La firma del trattato che mette al bando le armi nucleari è un ottimo punto di partenza, ma c’è ancora molto da fare. In 112 hanno firmato l’accordo ma tra di essi mancano i Paesi che ufficialmente possiedono l’atomica ma anche coloro che non dovrebbero ma la possiedono.

Fondamentale appare il nuovo assetto geopolitico globale: la vicinanza tra Pechino, Mosca e Teheran, fa da contrappeso economico, militare e culturale agli Stati Uniti e di conseguenza alla nato e a Israele., che comunque non intendono con la direzione di Trump restare a guardare.

L’ultimo bilancio della  Casa Bianca propone incrementi per programmi di ricerca e sviluppo di armi, con la sostituzione o aggiornamento di elementi della triade nucleare.

La richiesta di spesa della National Nuclear Security Administration (NNSA) è di 13,9 miliardi, la metà del bilancio del Dipartimento per l’energia, quasi 1 miliardo in più rispetto al 2017.

Di fatto, la corsa al riarmo atomico è in pieno svolgimento, a dispetto dei trattati o delle decisioni dell’assemblea dell’Onu. L’obsolescenza degli ordigni attuali e le nuove strategie militari, hanno spinto le grandi potenze nucleari ad una corsa all’innovazione.  A rendere tutto ancora più drammatico, poi, sono le incertezze sul programma nucleare della Corea del Nord, l’Amministrazione Trump e il traballante accordo sul nucleare iraniano. Tute situazioni che non semplificano il quadro.

Nella corsa al riarmo c’è poi da inserire il ruolo ascendente della Russia di Putin, decisa a riconquistare centralità mondiale, cui si oppone la NATO. Così, anche l’Alleanza Atlantica è in una fase di ascesa e potenziamento nucleare. Nell’ultimo summit Trump ha invitato calorosamente gli Stati dell’alleanza  a rispettare l’impegno, che impone l’investimento del 2% di Pil in spesa militare.

L’Iran e l’accordo di Vienna

Il Piano d’azione congiunto globale (Joint Comprehensive Plan of Action), noto come accordo sul nucleare iraniano,  è un accordo internazionale sull’energia nucleare in Iran.

Il patto, raggiunto a Vienna il 14 luglio 2015, è stato stilato tra l’Iran, il P5+1 (i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, Cina, Francia, Russia, Regno Unito, Stati Uniti, più la Germania), e l’Unione europea.

Con l’accordo l’Iran ha accettato di eliminare le sue riserve di uranio a medio arricchimento, di tagliare del 98% le riserve di uranio a basso arricchimento e di ridurre le sue centrifughe a gas per tredici anni.

Per quindici anni l’Iran potrà arricchire l’uranio solo al 3,67% e ha pattuito di non costruire alcun nuovo reattore nucleare ad acqua pesante.

Le attività di arricchimento dell’uranio saranno limitate a un singolo impianto utilizzando centrifughe di prima generazione per dieci anni. Altri impianti saranno convertiti per evitare il rischio di proliferazione nucleare.

Incaricata di monitorare e verificare il rispetto dell’accordo da parte dell’Iran, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) che avrà accesso a tutti gli impianti nucleari iraniani.

L’accordo prevedeva  che in cambio del rispetto dei suoi impegni, l’Iran avrebbe ottenuto la cessazione delle sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea e dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a causa del suo programma nucleare.

Il testo, che costituisce uno dei successi di Obama in politica estera, aveva registrato posizioni molto critiche da parte del Partito Repubblicano e da Israele.

L’ultima riunione della Commissione congiunta del piano d’azione comune globale (JCPOA) si è tenuta a Vienna il 21 luglio 2017.

La commissione mista era presieduta a nome dell’alto rappresentante dell’Unione europea Mogherini,  dal segretario generale EEAS Helga Maria Schmid e hanno partecipato l’E3 + 3 (Cina, Francia, Germania, Russia, Regno Unito, Stati Uniti) e Iran.

Nella convocazione della riunione si legge: “La riunione offrirà l’opportunità di esaminare l’attuazione del JCPOA per quanto riguarda le questioni relative a nucleari e sanzioni”. Non ci sono, quindi, comunicazioni ufficiali sul mancato rispetto dell’accordo da parte dell’Iran.

Dopo la ventilata ipotesi di nuove sanzioni nei confronti della Repubblica Islamica, rea  secondo il presidente Usa Trump, di nuove ‘attività maligne’, il parlamento iraniano ha deciso di discutere di misure, incluso l’aumento di finanziamenti per il programma missilistico, come rappresaglia.

Il capo della Guardia rivoluzionaria ha minacciato gli Usa e ha intimato di spostare le proprie basi a mille chilometri dal Paese mediorientale se intendono sanzionarne le difese militari.

Le misure statunitensi di questa ultima fase indicano che l’amministrazione del presidente Donald Trump sta cercando di esercitare maggiori pressioni sull’Iran pur mantenendo l’accordo tra Teheran e le sei potenze mondiali per frenare il programma nucleare.

La Corea del Nord

La tensione tra Corea del Nord e gli Stati Uniti ha preoccupato e, a fasi alterne, continua a preoccupare il mondo.

Pyongyang mantiene il segreto assoluto sul proprio apparato bellico.Nord Corea e Washington sostengono che il regime possieda missili in grado di raggiungere gli Stati Uniti ma ad oggi nessun missile intercontinentale è mai stati testato e gli esperti sono scettici sulla loro reale esistenza.

Dubbi esistono poi su una fantomatica bomba ad idrogeno in possesso del regime e sull’utilizzo dell’uranio nei propri test nucleari. In questo caso infatti questo rappresenterebbe un balzo in avanti nel programma nucleare.

Secondo le stime dell’Ispiil 60% dell’arsenale è obsoleto e risale agli anni Sessanta ma potrebbe contare su 5mila tonnellate di armi chimiche.

Gliesperti invitano a non sottovalutare affatto Pyongyang soprattutto perché il regime non ha nessuna  intenzione di fermare il proprio programma missilistico.  Al momento la Corea del Nord avrebbe circa mille missili balistici di vario tipo, di cui la maggior parte sarebbe a corto raggio ma in grado di raggiungere la Corea del Sud: Seul dista solo 50 chilometri dal confine nordcoreano.

Anche secondo lo Stockholm International PeaceResearchInstitute, Pyongyang si è dotata di un arsenale nucleare abbastanza esteso.

Le stime sulle armi nord coreane condotte dallo Stockholm International PeaceResearchInstitute si basano sui calcoli relativi alla quantità di plutonio che la Corea del Nord potrebbe aver estratto dal combustibile esausto prodotto dal reattore del centro di ricerca di Yongbyo. Nell’ambito dei Colloqui a sei del 2007 è stato stabilito lo smantellamento del centro.

Si ritiene poi che Pyongyang sia in grado di produrre abbastanza plutonio per costruire fino a otto armi atomiche rudimentali, considerando che ognuna di esse necessiti di 5 chilogrammi di plutonio.