Pena di morte: buone e cattive nuove

Il dibattito sulla pena di morte è stato ed è a tratti è tuttora uno dei più vivi nell’ambito internazionale dei diritti umani.

Molti i passi in avanti compiuti negli ultimi anni, con un cospicuo numero di Stati che ha iniziato a considerare la pena capitale come una scelta non più politicamente strategica, poiché mal vista dalla comunità internazionale.

Ma, come si può immaginare, ciò che resta da fare è molto

Secondo il rapporto di Amnesty International nel 2016, almeno 1.032 persone sono state messe a morte in 23 Paesi. La maggior parte delle esecuzioni è avvenuta (in questo ordine) in CinaIranArabia Saudita e Pakistan.

Nel 2016 si è registrato un calo del 37% del numero di esecuzioni rispetto allo scorso anno. Non è però un dato del tutto positivo: il 2015, infatti, è stato l’anno in cui Amnesty International ha registrato il più alto numero di esecuzioni dal 1989. Questo si traduce nel fatto che, nonostante la diminuzione, il numero complessivo di esecuzioni nel 2016 si è mantenuto più alto della media registrata nei dieci anni precedenti.

C’è poi l’incognita Cina. Si ritiene, infatti, che siano state eseguite migliaia di sentenze capitali, ma il numero rimane non ufficiale: i dati sull’uso della pena di morte sono classificati come segreto di stato.

Esclusi quindi i dati cinesi, la classifica resta tragica. L’Iran è responsabile del 55% di tutte le esecuzioni registrate. Insieme all’Arabia Saudita, all’Iraq e al Pakistan ha eseguito l’87% di tutte le sentenze capitali registrate nel 2016. In Iran, comunque, il numero totale di esecuzioni è diminuito del 42% rispetto allo scorso anno. Meno sentenze sono state registrate anche in Indonesia, Somalia e Stati Uniti d’America. Per la prima volta dal 2006, gli Stati Uniti d’America non sono comparsi tra i primi cinque esecutori mondiali

In controtendenza invece l’Iraq, che ha più che triplicato il numero di esecuzioni e l’Egitto e il Bangladesh che lo hanno raddoppiato.

La Bielorussia e le autorità dello Stato di Palestina hanno ripreso le esecuzioni dopo un anno di interruzione, mentre Botswana e Nigeria hanno eseguito le loro prime condanne a morte dal 2013. Alla fine del 2016, almeno 18.848 persone erano detenute nei bracci della morte in tutto il mondo.

Persone con disabilità mentali o intellettive sono state condannate o messe a morte in diversi Paesi, tra cui Giappone, Indonesia, Maldive, Pakistan e Stati Uniti d’America.

Gli osservatori internazionali, poi, valutano che nella maggior parte dei Paesi in cui le persone sono state condannate o messe a morte, la pena capitale è stata decisa dopo procedimenti giudiziari non in linea con gli standard internazionali sul giusto processo.

Da monitorare sono anche  i motivi della ‘messa a morte’. Nel 2016 si è continuato a condannare e a mettere a morte per crimini che non raggiungevano la soglia dei “reati più gravi”, come stabilito dall’articolo 6 del Patto internazionale sui diritti civili e politici. La pena di morte è stata inflitta o eseguita per reati connessi alla droga in diversi Paesi, tra cui Arabia Saudita, Cina, Emirati Arabi Uniti, Indonesia, Iran, Kuwait, Laos, Malesia, Singapore, Sri Lanka, Thailandia e Vietnam.

Le buone notizie

Sull’argomento non mancano le buone notizie. Nel 1945, anno di fondazione delle Nazioni Unite, solo otto degli allora 51 Stati membri avevano abolito la pena di morte.

Oggi, gli Stati abolizionisti per tutti i reati sono 101 e in totale 138 stati membri su 193 hanno abolito la pena capitale per legge o nella prassi. Nel 2015, in 169 dei 193 stati membri, ovvero l’88 per cento, non vi sono state esecuzioni.

Il 2016 è stato un anno significativo. Due altri Paesi hanno abolito la pena capitale: il 21 gennaio la Corte costituzionale del Benin ha dichiarato la pena di morte incostituzionale e il 12 maggio nell’isola di Nauru è entrato in vigore un nuovo codice penale, che non prevede questo tipo di pena tra le punizioni ammissibili.

Anche la Guinea ha promulgato un nuovo codice penale, che è andato ad abolire la pena di morte per i soli reati ordinari, così come il nuovo dispositivo del Ciad che ha abolito la pena capitale con l’eccezione del reato di “terrorismo”.

La Corte costituzionale del Guatemala ha rilevato l’incostituzionalità di alcune disposizioni del codice penale.  La pena di morte era finora prevista per l’omicidio di persone di età inferiore a 12 anni o superiore a 60, il sequestro seguito da morte o ferimento grave della vittima, l’omicidio del Presidente e del Vicepresidente della Repubblica e alcuni reati particolarmente gravi collegati al narcotraffico.

Secondo quanto disposto dalla Corte costituzionale, la pena capitale resterà in vigore per i reati su cui è competente la giustizia militare.

Passi positivi anche negli Stati Uniti d’America, dove la Corte suprema del Delaware ha stabilito che la legge di Stato sulle sentenze capitali fosse incostituzionale, abolendo così la pena di morte.

Nel mese di settembre, poi, Togo e Repubblica Dominicana hanno aderito al Secondo protocollo opzionale al Patto internazionale sui diritti civili e politici, finalizzato all’abolizione della pena capitale.

Il Myanmar ha abolito la pena di morte legata alla Legge sulle disposizioni di emergenza del 1950 e la Thailandia la ha bandita per reati connessi allo spaccio di droga.

Inoltre due Paesi delle Americhe, Antigua e Barbuda e Bahamas, hanno commutato le condanne a morte delle ultime persone rimaste nel braccio della morte.

Le moratorie Onu

Il 19 dicembre 2016 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la sesta risoluzione in favore di una moratoria sulle esecuzioni in vista dell’abolizione della pena di morte.

Dal 2007 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato sei risoluzioni per la moratoria globale sulla pena di morte, con una maggioranza di voti favorevoli sempre crescente.

La prima risoluzione era stata approvata a New York il 18 dicembre 2007 con 104 voti a favore, 54 contrari e 29 astenuti.

Per la sesta risoluzione i numeri sono più rassicuranti. Su 193 stati membri delle Nazioni Unite, 117 hanno votato a favore, 40 hanno votato contro, 31 si sono astenuti ,mentre i restanti cinque non hanno preso parte alla votazione.

Variazioni positive del voto sono arrivate da Guinea, Malawi, Namibia, Isole Salomone, Sri Lanka e Swaziland, che hanno votato tutti a favore della risoluzione. Come ulteriore segnale positivo, lo Zimbabwe ha spostato il proprio voto dall’opposizione all’astensione. Purtroppo, però, Guinea Equatoriale, Niger, Filippine e Seychelles sono passati da un voto favorevole all’astensione, mentre Burundi e Sudan del Sud sono passati dal voto favorevole a quello contrario. Le Maldive sono passate dall’astensione al voto contrario.

La risoluzione è stata proposta da 89 stati membri con Argentina e Mongolia alla guida. La risoluzione  è un testo di grande rilievo politico e stabilisce che la pena di morte è un tema di preoccupazione globale per i diritti umani.

Il testo riporta richieste ai Paesi mantenitori come la riduzione del numero dei reati capitali, l’aumento della trasparenza rendendo pubbliche le informazioni sulle esecuzioni e l’applicazione di procedure eque e trasparenti per chiedere clemenza.

L’Italia è stata in prima linea nella stesura della risoluzione. A detta dello stesso Ministero degli Esteri “un contributo importante è stato offerto anche dalle organizzazioni della società civile che partecipano alla Task Force MAECI-società civile sulla pena di morte: Comunità di Sant’Egidio, Amnesty International e Nessuno Tocchi Caino”.