Nucleare, Trump sbatte la porta (aggiornato)

Gli Usa abbandonano l'Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty (INF), pietra miliare  del regime internazionale del controllo degli armamenti. E poche ore dopo anche Putin prende la stessa decisione

di Elia Gerola.

La comunità internazionale è in subbuglio. Tra i protagonisti ancora una volta c’è Trump ma stavolta la materia del dibattito è il controllo degli armamenti nucleari. Ieri, è scaduto il termine di quello che l’editorialista del Guardian Julian Borger ha definito come “l’ultimatum diplomatico” lanciato dall’Amministrazione statunitense alla Federazione Russa, intimata di cessare le attività che sarebbero in violazione dello storico trattato Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty. Il Cremlino non ha però accolto le richieste americane, e Trump ha mantenuto la propria promessa, gli Usa hanno infatti annunciato il ritiro dal Trattato. Oggi però la Russia ha reagito e ha sospeso il suo coinvolgimento nel Trattato. Il presidente Vladimir Putin ha detto che la Russia inizierà a sviluppare nuovi missili. “Tutte le nostre proposte in questo settore – ha detto il presidente russo –  rimangono sul tavolo e le porte per i colloqui sono aperte”.

L’Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty (INF) è una pietra portante del regime internazionale del controllo degli armamenti. Venne firmato da Reagan e da Gorbaciov, verso la fine della Guerra Fredda, a Washington, nel dicembre del 1987, dopo i negoziati di Reikiavik. E’ unico nel suo genere poiché con esso le due superpotenze dell’epoca, USA e URSS, si impegnarono a non possedere, produrre, testare o schierare un’intera classe di sistemi di lancio di missili, ovvero di vettori nucleari, aventi portata tra i 500 ed i 5500 km. Con questo trattato insomma, non si mise solo un tetto o un limite al numero di missili o di testate possedute, come era già avvenuto con SALT I ed avvenne in seguito con SALT II e i vari accordi START, bensì venne di fatto abolita (ritirata) un’intera classe di vettori nucleari.

Oggi però, a più di trent’anni di distanza, il trattato rischia di estinguersi poiché una delle due parti (gli USA) accusa l’altra (la Federazione Russa) di esserne in violazione. Una mossa che ha poi convinto Putin a sospendere il Trattato. Le accuse americane sono fondate su materiale di intelligence statunitense, reso noto nel 2015, dopo che già nel 2013 gli Usa avevano sollevato la questione con la Russia. Così è seguita un’escalation progressiva che vide: nel 2015 Washington notificare ai propri alleati in seno alla NATO parte delle proprie informazioni, nel marzo 2017 un generale statunitense dichiarare che la Russia starebbe violando “lo spirito e l’intento del trattato”, e il 4 dicembre 2018, Mike Pompeo, il segretario di Stato Americano sotto l’amministrazione Trump, dichiarare in una conferenza stampa, che visto l’insuccesso dei dialoghi bilaterali delle precedenti amministrazioni, trascorsi 60 giorni da quella data, se la situazione non fosse stata risolta gli USA si sarebbero ritirati dall’accordo.

I sistemi di lancio da terra di missili da crociera che la Russia è accusata di aver testato illegalmente, almeno una volta, sarebbero come riportato da SIPRI, gli SSC-8 (denominazione statunitense), questo quanto riportato da fonti citate in un rapporto per il Congresso Usa. Il luogo di lancio sarebbe stato il cosmodromo russo di Kapustin Yar, localizzato nella Russia occidentale. Inoltre, secondo gli analisti, anche il Kazakistan sarebbe stato coinvolto, avendo probabilmente messo a disposizione il suo poligono militare di Sary Shagan come punto di atterraggio del missile, dislocato a più di 2000 km di distanza. Cionondimeno le informazioni sono tutte altamente classificate e segretate, di conseguenza la certezza è poca.

posizione del Cosmodromo di Kapustin Jar.

La diplomazia ha naturalmente lavorato nel frattempo ma scarsi risultati sono stati raggiunti. Così verso la metà del mese di gennaio, la sottosegretaria di Stato americana Andrea Thompson, con delega al controllo degli armamenti e agli affari di sicurezza internazionali, di ritorno da un dialogo bilaterale tenutosi a Ginevra con il viceministro russo Sergei Ryabkov, ha dichiarato stentorea: “Non sono ottimista”. Da fonti credibili, come rivela DefenceNews si è però saputo che nonostante il Cremlino stia continuamente negando la propria violazione, il solo fatto di essersi seduti al tavolo, aver accettato di visionare il materiale e tentato di instaurare un dialogo costruttivo dovrebbe essere fonte di ottimismo.

Già l’amministrazione Obama aveva sollevato il problema con scarsissimi risultati, che nel marzo 2017, avevano fatto dichiarare al meno aggressivo e più negoziatore John Wolfsthal, all’epoca consigliere speciale del presidente democratico, che in caso di insuccesso con la via diplomatica il ritiro dal trattato sarebbe stato sul tavolo. Recentemente però lo stesso Wolfsthal, ora a capo del Crisis Group della Ong americana pro-disarmo Global Zero, ha sottolineato che i successi ottenuti dall’aggressivo approccio della squadra di Trump, ovvero portare al tavolo i russi, non dovrebbero essere sprecati per impazienza o fretta di portare a casa il risultato. Dialogo e confronto insomma sarebbero necessari. Alcuni notano d’altro canto come certamente l’approccio poco diplomatico ma piuttosto diretto e scarsamente compromissorio dell’amministrazione Trump abbia finora impartito un’accelerazione alla questione e sottolineano quindi, che in ogni caso, annunciando il ritiro dal Trattato, rimarrebbe una finestra di tempo prestabilita di 6 mesi, prima che esso si estingua definitivamente, cosa che imponendo una scadenza prestabilita all’effettività del trattato, potrebbe conferire un’ulteriore e decisiva accelerazione alle negoziazioni. Il dubbio però rimane, sconsideratezza o strategia?

 L’Unione Europea, fortemente interessata alla vicenda per la propria posizione geografica ma piuttosto inascoltata dall’alleato americano, sta rivivendo almeno parzialmente le dinamiche della Guerra Fredda. Così né l’offensiva diplomatica europea lanciata in autunno, né l’accorato appello del ministro degli esteri tedesco Heiko Maas sono riusciti a smuovere la risoluzione Usa e l’assertività russa, determinata a non cedere alle pressioni di Washington. Ancora una volta Washington sembra dunque voler scappare con la palla in mano, come nel caso dell’Accordo di Parigi sul Clima, senza essere neppure intenzionato a dialogare o confrontarsi al fine di trovare un punto di incontro.

Alcuni analisti sostengono che sia gli Usa sia la Russia stessero cercando da tempo un modo per svincolarsi dall’INF. La Casa Bianca al fine di dislocare nel teatro dell’Asia Orientale missili a medio e corto raggio per rafforzare il proprio ombrello nucleare contro Cina e Corea del Nord. Il Cremlino, secondo SIPRI sarebbe invece spinto dal desiderio di ribilanciare la, vera o percepita che sia, asimmetria convenzionale a favore delle forze NATO, dalla volontà di rafforzare il proprio arsenale nucleare e di rispondere a tono alla rescissione realizzata dall’Amministrazione Bush nel 2002 dal Trattato Anti Balistic-defense Missile Treaty (ABM), che firmato nel 1991 aboliva la possibilità di installare un sistema di difesa antimissilistico che avrebbe potenzialmente schermato gli USA da attacchi aerei e che oggi avrebbe reso gli USA meno vulnerabili ad un attacco nucleare russo.

Firma del Trattato INF.

Il Trattato INF risultò all’epoca molto significativo per due fondamentali ragioni, una di natura geopolitica e l’altra eminentemente tecnico-giuridica. Da una parte esso contribuì decisivamente alla risoluzione della cosiddetta Crisi degli Euromissili, che attanagliò le cancellerie europee per una decina danni. Essa scoppiò nel 1976, quando l’URSS decise di schierare i missili SS-20, minacciandone la sicurezza degli Stati dell’Europa Occidentale. In risposta, gli Stati membri della NATO accelerarono il rinnovamento dei missili schierati in Europa Occidentale, e si impegnarono ad installare nuovi Pershing e Cruise nel caso in cui i negoziati sulla rimozione degli SS-20 sovietici fossero falliti.  I dialoghi fallirono e nel ‘83, secondo la logica della risposta equivalente (tit for tat) tipica della Guerra Fredda, la NATO applicò così una risoluzione del 1979 ed optò per schierare i propri missili. La situazione di tensione, si risolse però proprio con il trattato INF che nell’ambito della distensione che si rivelò poi mortale e definitiva per l’URSS, obbligò le due superpotenze a non impiegare in nessun teatro regionale tali vettori di lancio.

Dall’altra il Trattato risultò importante poiché per la prima volta dei sistemi d’arma, o meglio di lancio delle testate nucleari, in questo caso missili a medio e corto raggio, non venivano solamente limitati, bensì ritirati. Inoltre, stipulandolo, l’URSS aderì per la prima volta ad un sistema di verifica di un Trattato, che prevedeva ispezioni fisiche in loco, rinunciando alla sua caratteristica tendenza alla segretezza. Come infatti disse Reagan in conferenza stampa, lo spirito del trattato era la reciproca fiducia, fondata però sulla possibilità di verificarla materialmente.

Insomma, il regime di controllo degli armamenti è in pericolo ed il rischio di una corsa al riarmo, frenata in questi ultimi anni anche dall’INF, che era l’ultimo dei trattati del suo genere risalente alla Guerra Fredda, rimane dietro l’angolo. Trump ancora una volta a tratto il proprio dado, distruggendo ciò che con fatica si era ricostruito, ora Usa, Russia e resto del Mondo devono decidere, se costruire qualcosa di migliore oppure no.

In copertina: ispettori al lavoro 

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