Nuove sanzioni a Caracas ma nessuna spallata

Il vicepresidente Usa Pence promette l’inasprimento delle misure contro il  Venezuela dove sono solo poche decine i militari che hanno disertato. In azione paramilitari di entrambe le parti sui due lati del confine con la Colombia

di Maurizio Sacchi

Alla fine di un  week-end  di sangue, veleni, concerti, gas lacrimogeni e camion bruciati, la spallata al regime in Venezuela non c’è stata. Guaidò ospite d’onore del Gruppo di Lima a Bogotà riceve l’appoggio degli Usa e la promessa di sanzioni contro Maduro mentre Washington decide di portare il caso Venezuela davanti al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite. Intanto l’azienda petrolifera di stao russa, Gazprom, congela gli scambi con Petroleos de Venezuela S.A. (PDVSA) per sfuggire alle ritorsioni americane ma restano i contratti di ricerca e sfruttamento delle risorse petrolifere su tutto il territorio venezuelano.

 

Sono le ultime notizie del week-end di scontri che ha marchiato

Micheal Pence

soprattutto il confine Colombia -Venezuela dove la situazione è di stallo ma carica di tensione. Il numero di morti a seguito degli scontri di sabato e domenica è impossibile al momento da accertare, date le divergenti versioni che circolano nei mezzi di informazione e le smentite recise del governo di Nicolàs Maduro. Di certo si sa che 4 dei camion della colonna di aiuti che aspetta al ponte di Tienditas  sono stati dati alle fiamme; ma le due parti si rimbalzano le accuse, attribuendo a forze paramilitari della parte opposta la responsabilità dell’atto. Vi sono state diserzioni a piccoli gruppi di militari venezuelani che hanno attraversato la frontiera. Lunedì sera se ne contavano una sessantina. Non quindi quella diserzione di massa che si era prospettata.

Ma gli scontri si sono susseguiti quasi senza interruzione, con tentativi di incursione da parte della folla radunata in terra colombiana. Un filmato BBC riprende giovani con fazzoletto sul volto che preparano bottiglie molotov proprio sotto l’arcata del ponte. Mentre dalla parte venezuelana si sono sollevate dense nubi di lacrimogeno per ore, e si segnalano feriti da pallottole di gomma giunti dai sentieri a farsi medicare in Colombia. Secondo giornalisti di el Pais e della BBC, anche dal lato colombiano, nella folla di rifugiati venezuelana addensati al confine, era possibile riconoscere membri delle forze paramilitari anticomuniste colombiane, nate in funzione anti guerriglia nel lungo confronto con le FARC. La violenza ha assunto anche toni cupi, come l’avvelenamento da “burundanga” in un ristorante di un deputato dell’opposizione recatosi in Colombia per assistere al concerto Venezuela Aid Live.

La transizione pacifica prospettata da Guaidò proprio per il fine settimana, dunque non c’è stata. Le poche decine di militari che hanno disertato sono parte di un esercito di 350.00 uomini; solo un alto ufficiale per il momento ha risposto alla chiamata dell’autoproclamato presidente. E dunque con l’esercito venezuelano si dovrà fare i conti. Senza contare i 20.000 soldati regolari di Cuba, presenti al momento sul territorio venezuelano.

Ma la risposta diplomatica Usa è stata ancor intransigente. Il Gruppo di Lima, che riunisce i Paesi dell’America Latina che hanno dichiarato illegittima la presidenza Maduro – tutti, meno Cuba, Nicaragua, Bolivia, Messico e Uruguay- riunito a Bogotà lunedì ha appoggiato la condanna definitiva da parte dell’amministrazione Usa del governo Maduro, per bocca del vicepresidente Mike Pence, che ha per questo ha rinviato il viaggio già programmato in Corea del Nord.

Il primo mezzo che si è deciso di usare sono le sanzioni, e il blocco di tutti i capitali venezuelani. Specialmente quelli della Petroleos de Venezuela S.A., che rappresentano l’80% dell’economia venezuelana.  Perfino Gazprom, l’azienda di stato petrolifera russa, ha congelato gli scambi con la sua omologa di Caracas, per sfuggire alle ritorsioni che colpiscono anche chi intrattiene relazioni con il Paese colpito dalle misure.
E Pence ha promesso a Guaidò che “ogni centesimo sottratto al popolo venezuelano [dal governo socialista] sarà recuperato e restituito”, invitando anche le compagnie straniere proprietarie di impianti e beni in Venezuela a riconoscere Guaidò come legittimo interlocutore e garante dei loro interessi.

Fin dal 2005, in occasione di una visita dell’allora presidente russo Medvedev, la Gazprom ha allacciato rapporti con i governi bolivariani. Secondo quanto risulta dallo stesso sito ufficiale della Gazprom: nel settembre 2005, Zarubezhneftegaz (attualmente parte del gruppo Gazprom International) ha vinto la gara d’appalto sui blocchi Urumaco-1 e Urumaco-2 del Golfo del Venezuela. Le riserve di gas naturale previste nell’area sono stimate in circa 100 miliardi di metri cubi. Per quanto riguarda il greggio, le riserve sul posto sono state stimate a 1 miliardo di tonnellate, “ma poiché il blocco contiene petrolio ad alta viscosità, si ritiene che le sue riserve recuperabili ammontino a 170-180 milioni di tonnellate. Si sta studiando la possibilità di costituire una joint venture tra Gazprom Group e PDVSA per lo sviluppo del blocco Ayacucho-3 in futuro”.

La Russia ha già ammonito, come la Cina e altri, che non ammetterà un intervento armato esterno in Venezuela. E d’altra parte, Pence stesso ha dichiarato di voler portare il caso Venezuela davanti al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite. Dove siedono appunto Russia e Cina. Con quest’ultima, poi, l’amministrazione Trump è in un momento di delicata contrattazione, e in stato di armistizio. Potrebbe essere l’apertura di una fase negoziale. Ma il rischio che la situazione alle frontiere esploda in qualche episodio che serva da casus belli permane. E ormai l’intervento armato viene apertamente considerato una opzione negli Stati uniti. Se la diplomazia e gli interessi materiali in gioco agiranno con tempestività forse il rischio di una guerra civile, con la possibilità di espandersi oltre i confini, può essere evitato.

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