Opposizione albanese

Due manifestazioni, incidenti e l'assalto al palazzo del governo scuotono l'esecutivo del socialista Edi Rama. Gli  scenari dietro lo scontro

In Albania il governo vacilla. Sabato 16 febbraio la capitale Tirana è stata scossa dalle proteste dell’opposizione capitanata dal Partito Democratico (Pd) di Lulzim Basha e dal Movimento Socialista per l’Integrazione (Lsi) di Monika Kryemadhi. Dietro al leader del Partito democratico Lulzim Basha c’è Sali Berisha, ex premier ed ex capo di Stato, accanito nemico del premier Rama.

Da settimane i due schieramenti politici stavano preparando la manifestazione che aveva come obiettivo quello di chiedere le dimissioni del premier socialista Edi Rama e l’istituzione di un governo di transizione che portasse a elezioni anticipate. L’intento era infatti realizzare la più grande manifestazione a cui l’Albania avesse mai assistito negli ultimi 30 anni.

Come racconta l’Osservatorio Balcani Caucaso, la manifestazione di Tirana ha invaso il Boulevard dei Martiri della Nazione, e con grande facilità, dopo solo 30 minuti dall’inizio, un gruppo di dimostranti ha rotto il cordone della polizia e ha preso d’assalto l’ingresso dell’edificio sede del governo. Dal tetto dell’edificio, le forze dell’ordine hanno risposto con il lancio di gas lacrimogeni. Il premier Edi Rama in quel momento si trovava in trasferta a Valona, storica roccaforte socialista e suo collegio elettorale. Qui, secondo l’Osservatorio, il premier ha tenuto un comizio che ha assunto i toni di una contromanifestazione. Il bilancio della manifestazione di Tirana è stato di 19 persone lievemente ferite (tra manifestanti e agenti di polizia) e 15 arresti.

Il giorno successivo Basha ha annunciato l’intenzione dei deputati PD di rimettere i loro mandati parlamentari. Lo scenario che si è aperto ha ricordato a molti quello del 2017, quando, ad un mese dalle politiche e dopo tre mesi di proteste, il leader del Pd trovò un accordo con Rama e dette vita ad un governo tecnico. Il governo socialista è accusato di corruzione a causa della costruzione di strade, della compravendita di voti nelle elezioni del 2017, della complicità della politica con la sfera criminale, dell’alto tasso di disoccupazione e dell’emigrazione dei giovani.

C’è però chi sottolinea che sul tema della corruzione, in Albania, si possa applicare il ‘chi è senza peccato scagli la prima pietra’. Negli Anni Novanta, con Berisha capo di Stato, l’economia del Paese si trovava nelle mani di oligarchie criminali, artefici di grandi speculazioni finanziarie e responsabili per la grande diffusione di armi. Ci furono infatti guerriglie urbane con migliaia di morti e la ripresa della fuga degli albanesi verso l’Italia.

Da sottolineare poi il rapporto tra il potere e la droga. L’Albania è, come il Kosovo, un’enorme base per il riciclaggio, che Rama non è certo riuscito ad arginare. Alcuni rapporti internazionali sulle mafie hanno rivelato che tra il 2013 e il 2016 si è registrato un boom nella produzione e nel traffico di cannabis. In questi anni si è poi consolidato il rapporto tra clan locali e organizzazioni della criminalità organizzata come la ‘ndrangheta, per smistare attraverso l’Albania cocaina ed eroina in Europa, dal Sud America e dall’Afghanistan.

Come promesso dai leader della piazza di sabato ieri si è svolta un’altra manifestazione. Tirana questa volta si è fatta trovare preparata e la manifestazione si è svolta in una capitale blindata. Nella notte l’area attorno al Parlamento albanese è stata recintata con filo spinato e sono stati dispiegati anche oltre mille agenti delle forze dell’ordine e della Guardia repubblicana. Il presidente del Parlamento aveva poi deciso di rinviare la seduta parlamentare in agenda. Dopo avere manifestato, questa volta pacificamente, davanti al Parlamento, Basha insieme con i deputati e i leader dell’opposizione hanno rimesso i loro mandati all’Assemblea nazionale e sono poi rientrati alla sede del Partito democratico. Qui hanno ribadito che “la battaglia per cacciare il premier Rama non si ferma”.

L’Unione Europea condanna la protesta di sabato 16. In una nota congiunta l’Alto rappresentante dell’Ue, Federica Mogherini e il commissario all’allargamento Johannes Hahn, dichiarano di denunciare “con forza qualsiasi retorica da parte dei leader politici che chiedono violenza”, nonché “la decisione dell’opposizione di rinunciare al proprio mandato, ostacolando seriamente il funzionamento della democrazia in Albania”. Oltre alla condanna per l’opposizione anche una minaccia velata “questi atti sono controproducenti” – scrivono – “minano i progressi compiuti dal Paese nel percorso verso l’Ue”.

Nel 2018 si erano infatti aperti a Bruxelles i negoziati per l’ingresso di Macedonia e Albania, dopo che il premier socialista aveva avviato riforme della pubblica amministrazione e della magistratura, per adeguare lo Stato agli standard comunitari. Sul caso Albania è intervenuto anche l’Osce: “L’escalation della violenza in strada rappresenta un’infrazione dei principi di una protesta democratica e pacifica. Gli istigatori e i responsabili si devono assumere le proprie responsabilità per gli incidenti”.

L’osservatorio Balcani Causcaso è scettico rispetto alla reale presa di questo tipo di opposizione: “I cittadini albanesi – scrivono  i suoi analisti – hanno oggi tutti i motivi per scendere in piazza, ma difficilmente lo faranno trainati da questa opposizione. In Albania, alla guida socialista ancora non c’è un’alternativa e di certo il governo Edi Rama non sembra che stia per cadere. Incredibilmente, da manifestazioni di questo genere, può uscirne rafforzato”. E ancora, secondo l’Osservatorio, è evidente che non tutti i manifestanti presenti sabato approvino questa tipologia di protesta. Dalle interviste raccolte dai mezzi di informazione, infatti, un buon numero di manifestanti ha espresso la propria insoddisfazione sull’arroganza del governo ma non si sentiva necessariamente rappresentato dai leader dell’opposizione. Al momento, quindi, non sembrano essere disponibili alternative adeguate per dare risposta alla sfiducia contro i partiti politici attuali. In aggiunta, si rileva che il sistema elettorale in vigore rende praticamente impossibile per nuovi partiti entrare in Parlamento, creando in questo modo un forte divario tra l’elettorato e i parlamentari.

(Red/Al.Pi.)

*La foto di copertina raffigura un momento della manifestazione del 21 febbraio a Tirana ed è tratta dalla pagina Facebook del Partia Demokratike e Shqipërisë 

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