Orgosolo: arte d’impegno civile

Foto e Testi: Silvia Orri
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Un paesino in cui le facciate delle case sono come pagine di libri, in cui le voci delle persone sono come racconti letti ad alta voce, in cui il tempo si permette delle pieghe per far dialogare passato e presente, in cui l’attualità si confronta in maniera armonica con la memoria storica. Ad Orgosolo non si dimentica, l’arte è portatrice di lotta, rivendicazione, appropriazione dello spazio, conoscenza e coscienza. Tutto intorno, appassionati visitatori con sguardi attenti ad ogni sfumatura e parola.

Sono tra le montagne della Barbagia di Ollolai. Venticinque minuti da Nuoro con la corsa dell’Arst passando per i tornanti di Nurvile, Budurrai, Nurudai, Navruschè, Ghirtano, e Monte Pizzinnu. Uno di quei luoghi in cui la stratificazione storica rende difficile imparare le vicende accadute nei secoli in maniera lineare, come tasselli su una retta. Le invasioni, i dialetti, le lotte contadine, il banditismo, tutto diventa un vortice di vissuti che non possono fare a meno l’uno dell’altro per essere narrati a tutto tondo.

Orgosolo cerca di raccontare la “storia esclusa”, quelle vicende che rimangono a lato delle narrazioni ufficiali, che cercano di completare la prospettiva e che provano a dare risposte alle domande che riguardano il nostro “essere diventati così al giorno d’oggi”. I suoi muri sono le pagine spesso mancanti nei libri di scuola.

Cosa si impara, quindi? Un paio di storie, su tutte. La rivolta di Pratobello. Nel maggio 1969, un’ordinanza affissa sulle mura del paese firmata dalla Brigata Trieste impone lo sgombero del bestiame nella zona di Pratobello, in favore della realizzazione di un poligono militare in area comunale destinata al pascolo. Si contano 40.000 capi di bestiame interessati e la cifra di compensazione stabilità dallo stato è di 30 lire al giorno ciascuno che paragonate alle 75 lire al kg per il mangime pare offensiva ed indegna. La sollevazione non si fa aspettare ed in maniera spontanea, a metà giugno, si compone un’assemblea popolare di piazza che porta le voci della protesta a manifestarsi ed esprimersi invocando il pericolo dell’emigrazione definitiva dei pastori da Orgosolo. Tale presa di posizione nei confronti dello stato vede, tra l’altro, la solidarietà da parte di Emilio Lussu, fondatore del Partito Sardo d’Azione.

Il giorno 19 giugno il primo programma di esercitazioni nelle aree da tiro salta a causa della mobilitazione popolare che si scontra con i militari i quali lanciano tre bombe a mano per rompere il blocco di lavoratori e studenti ma che per fortuna non provocano vittime. A seguito dei primi arresti eseguiti dalla questura di Nuoro, partiti e sindacati condannano l’uso della forza da parte delle forze dell’ordine ed inizia a prospettarsi la messa in discussione del progetto proponendo che le aree militari possano essere convertite in aree di sviluppo economico.

Il 27 giugno l’esercito inizia la ritirata ed i pastori non interrompono l’attività di pascolo delle greggi nelle campagne. Il murales dedicato alla vicenda denuncia: “…imbezes de trattores pro arare arriban carrarmados e cannones e truppas de masellu d’addestrare…”. Pelle dura, quella barbaricina.

E poi, un’altra storia, quella del piccolo Iqbal Masih, così descritta nero su bianco sulla facciata di un immobile: “Gli unici strumenti di lavoro che un bambino dovrebbe tenere in mano sono penne e matite. Nel giorno di Pasqua, sicari della mafia dei fabbricanti di tappeti sparano a bruciapelo contro Iqbal Masih uccidendolo, mentre corre in bicicletta nella città di Muridke, vicino a Lahore in Pakistan. Iqbal aveva dodici anni e dall’età di quattro anni aveva lavorato, in condizioni di schiavitù, nelle fabbriche di tappeti. Si era ribellato a questa condizione, era fuggito ed era diventato il simbolo della lotta contro il lavoro minorile. 1983-1995.” Non aggiungerei altro.

Ad Orgosolo ingiustizie e proteste oltrepassano i confini. Denuncia, libertà di espressione, pace e vita contadina sono il collante che porta ad affiancare il conflitto Israelo-Palestinese alle vicende dei personaggi dei romanzi di Grazia Deledda, il viso di Julian Assange alla poesia di Zlata Filipović, i partigiani di Orgosolo Carmine Congiargiu, Egidio Mesina e Giuseppe Cuccu con Toro Lento Sioux Oglala, Antonio Gramsci con i bambini che soffrono di denutrizione in Yemen a causa della guerra.

Vicende così lontane l’una dall’altra nel tempo e nello spazio ma che trovano terreno comune nel mostrarsi come parte inesorabilmente influente delle nostre vite perché da quelle storie il mondo ha preso le pieghe, pieghe in cui noi ci muoviamo, talvolta inconsapevolmente. Quei colori, quegli stili pittorici, quelle tecniche di disegno sono un’efficace forma per esercitare il diritto alla libertà d’espressione ed informazione, il diritto all’educazione ed un impegno civico che va avanti dal 1969, anno di realizzazione del primo murale. Impegno di artisti, gruppi locali, studenti, tanto costante quanto rinnovato che intende la cultura come mezzo di responsabilità collettiva. Se vi sembrano parole astratte, basta andare a posare i palmi delle nostre mani su quei muri dipinti e tastare che tutto ciò è così reale da smuovere le coscienze e ridare luce a concetti come “politica”, “giustizia”, “liberta”.

La storia del reportage

Le foto sono state scattate tra dicembre 2022 e gennaio 2023