Pedalando a Kabul

di Andrea Tomasi

Decine di persone sono morte in un attentato rivendicato dai fondamentalisti islamici: un’azione kamikaze, consumatasi nella mattina del 23 luglio mentre i riflettori dell’Europa erano puntati sulla strage di Monaco di Baviera (9 morti). A Kabul si è assistito ad una violentissima esplosione, che – scrive Repubblica – ha scosso la capitale dell’Afghanistan in pieno giorno». Tutto è avvenuto in pochi istanti, nelle strade del quartiere Dehmazang dove era in corso la manifestazione «convocata principalmente da esponenti della minoranza degli hazara, un’etnia di lingua persiana e di religione sciita insediata soprattutto nell’Afghanistan centrale». L’attentato è stato rivendicato dall’Is attraverso un dispaccio dell’agenzia Amaq. «Allo stesso tempo, il portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid, si è affrettato a negare qualsiasi responsabilità nell’attacco». È questo l’ennesiamo episodio di violenza, che viene considerato poco dai media occidentali. Della serie: se non è successo in casa nostra, non è successo. Ma le cose accadono e attualmente in Afghanistan si vive in una condizione di tensione continua, data anche dall’assenza di diritti. «La maggioranza della popolazione – si legge sul sito di Zero Violenza – professa di essere seguace dell’Islam. Più di 1400 anni fa, l’Islam ha detto che gli uomini e le donne abbiano parità di diritti, il diritto di successione, il diritto di votare, il diritto al lavoro, e anche scegliere il proprio partner nel matrimonio. Per secoli alle donne sono stati negati tali diritti sia dal’governo ufficiale che dal proprio marito, padre e fratelli». E ancora: «Dalla caduta del regime dei talebani alla fine del 2001, molte persone sono d’accordo sul fatto che la posizione politica e culturale delle donne afghane è migliorata notevolmente. La costituzione afghana adottata di recente afferma che “i cittadini dell’ Afghanistan sia gli uomini che le donne hanno pari diritti e doveri davanti alla legge” (…). Nonostante tutto questo, l’obbligo per le donne non e stato cambiato. La repressione delle donne è ancora prevalente nelle zone rurali, dove molte famiglie ancora obbligano le proprie madri, figlie, mogli e sorelle a non partecipare alla vita pubblica». Dalle pagine di Osservatorio Afghanistan un aiuto per capire arriva da Rohina Bower, 27 anni, afghana, geologa,da un anno collaboratrice di Cospe e Hawca (Humanitaria assistance for the women and children of Afghanistan) per un progetto in difesa degli attivisti e dei diritti umani. «In Afghanistan quasi tutte le donne sono destinate a essere vittime di casi di violenza estrema». Ogni diritto è negato nell’Afghanistan di oggi, a maggior ragione se sei donna. Banalmente, se sei una ragazza, non puoi nemmeno procurarti una bicicletta per assaporare la libertà del movimento. Questo il racconto di Rohina Bower: «Ho sempre sognato di avere una bici e di pedalare tutti i giorni tra le strade di Kabul. Ero al quarto semestre, e in quel periodo frequentavo il dipartimento di idrometereologia all’Università di Kabul. Un giorno, sulla via per l’università, vidi un negozio di bici e decisi di comprarne una tutta mia. Mi fermai, quindi, e chiesi al negoziante quanto costava una bici. Immediatamente quest’uomo mi lanciò uno sguardo strano e, corrugando la fronte, mi chiese perché ero interessata. Gli ricordai allora che avevo semplicemente chiesto il prezzo, ma lui mi rispose con rabbia che non me l’avrebbe mai venduta, né a me né a nessun altra ragazza. “Perderei la mia reputazione con gli altri negozianti se vendessi bici a delle giovani”. Risposi senza perdere la calma, cercando di usare l’astuzia, e sostenendo che la bici non era per me ma per mio fratello. Chiesi nuovamente quanto costava. La sua risposta fu sbalorditiva: “Oh, ma perché non l’hai detto subito? Tremila afghani”. A quel punto dissi anche che dovevo provare l’altezza e feci un giro sulla bici. Un momento di pura felicità e libertà! Mi piacciono le bici rosa e spero un giorno di poterne comprare una, per questo ho riempito la mia stanza con immagini di biciclette. Questa è una piccola cosa; ma in Afghanistan le donne non hanno accesso alle cose più semplici, dalla bici all’istruzione, se non con molta fatica». E qui si parla di pedalare per passione. Pensate come può esser accolto nel Paese, nella società, il ciclismo femminile a livello agonistico. Lo scorso anno, in Afghanistan, quaranta donne hanno deciso di sfidare le regole della tradizione e di partecipare alle gare internazionali di ciclismo. La loro squadra (nella foto Reuters Masooma Alizada) si è allenata senza alcuno stipendio «sfidando gli insulti e le minacce di cui spesso le atlete sono bersaglio e che le costringono ad allenarsi fuori città, dove l’abbigliamento sportivo non provoca le reazioni dei passanti» scrive Internazionale. La capitana del team è stata pure scaraventata a terra da un automobilista che l’ha strattonata mentre pedalava. Anche questo è l’Afghanistan di oggi.

 

http://www.repubblica.it/esteri/2016/07/23/news/afghanistan_attentato_su_corteo_a_kabul_decine_di_morti-144692776/

http://www.zeroviolenza.it/component/k2/item/6614-donne-afghanistan

Io, che ho studiato grazie a 10 stivali, difendo i diritti delle donne afghane e sogno di pedalare per le strade di Kabul

http://www.internazionale.it/foto/2015/03/17/afghanistan-biciclette

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