Perché Unifil deve restare in Libano

"Tenere la missione Onu nel Paese significa tentare di evitare che le lancette della Storia tornino indietro e che i cattivi vincano"

di Raffaele Crocco

Quel “non abbiamo ancora finito” buttato lì dopo l’uccisione di Sinwar, il capo di Hamas, è una frase da capobanda. Netanyahu ha nella minaccia, nel tono da autocrate onnipotente, da capobanda, una delle sue dimensioni più vere. Punta l’obiettivo, qualunque esso sia, senza curarsi di conseguenze, vittime o altro. Lui ha ragione e lo dice a gran voce e guai a chi dissente. La cosa interessante è che la retorica del capobranco viene alimentata e giustificata da buona parte della nostra stampa. Molti titoli di media italiani oggi parlano del morto, Sinwar, come del “macellaio del 7 ottobre”. Era stato l’ideatore dell’azione e del rapimento di ostaggi che ha dato l’avvio a questa fase della guerra. Niente da dire, era stata un’azione terroristica proprio nell’accezione che noi dell’Atlante diamo a questa parola: aveva organizzato e ordinato un’azione militare contro civili, con l’obiettivo di portare terrore. Questo diciamo sempre e questo, per quanto ci riguarda, è terrorismo, al di là delle ragioni e dei torti.

Proprio per questa ragione, però, dovremmo usare quotidianamente il termine “macellaio” anche per Netanhyahu, responsabile di avere organizzato e ordinato una lunga azione militare che ha ucciso più di 41mila civili, concepita con l’obiettivo di terrorizzare e annichilire tutti i palestinesi, non solo i militanti di Hamas.
Le parole sono importanti, si usano per disegnare la realtà che ci circonda, per definirla. Per questo anche altre parole dette da Netanyahu dovrebbero indignarci. Quel suo “sgomberate il Libano del Sud dai Caschi Blu dell’Unifil” suona come l’ennesimo requiem per le Nazioni Unite e per il diritto umanitario e internazionale. Sono anche queste parole di minaccia, da capobanda. Qui, nel caos del Vicino Oriente, la pietra tombale sul diritto umanitario e internazionale non è definitivamente calata solo per l’opposizione che la richiesta di Netanyahu ha trovato, con il Consiglio di Sicurezza che ha detto “Unifil non si muove”.

La missione è lì, fra Israele e Libano, dal 1978, dalla prima invasione israeliana del territorio libanese. Dal 2006, data della seconda invasione israeliana, la forza multinazionale ha un mandato preciso: monitorare il cessate il fuoco e garantire che nessuna forza armata diversa dall’esercito libanese fosse presente nella zona, ovvero nessun Hezbollah o combattente israeliano. Israele non ha mai rispettato questo mandato. Lo stesso ha fatto Hezbollah.

Questo fallimento, determinato dalle parti, non dalla missione delle Nazioni Unite, non giustifica il delirio da onnipotenza del governo di Tel Aviv, alimentato dall’impunità di cui gode grazie agli alleati statunitensi ed europei. Quello che sta accadendo nel Sud del Libano è l’esatta fotocopia di quanto gli israeliani hanno fatto a Gaza. Netanyahu non vuole osservatori internazionali che tengano traccia di quello che accade. Nella striscia, l’esercito israeliano ha ucciso, sino ad oggi, almeno 175 giornalisti e ha impedito l’ingresso a reporter internazionali e ad osservatori dei diritti umani delle Nazioni Unite. In questo modo ha coperto le proprie azioni militari, uccidendo più di 41mila civili e obbligando un milione e mezzo di persone alla fuga. Lo stesso sta accadendo in Libano, dove l’esercito sta usando con la popolazione lo stesso sistema usato nella striscia. Pochi minuti prima di un attacco, avverte i libanesi di “lasciare le proprie abitazioni”. Poi, inizia l’azione di bombardamento o occupazione. Tutto questo, come a Gaza, avviene in un territorio che non è Israele. Avviene a casa di altri, in terre occupate in modo illegittimo e illegale. Ad oggi, almeno 233 villaggi libanesi hanno ricevuto ordini di questo tipo dall’esercito israeliano: si tratta di un quarto del territorio del Paese.

Sono comportamenti che il diritto internazionale e quello umanitario bollano come crimini. Il governo israeliano li vuole commettere senza testimoni. Il problema, è che se l’Onu accettasse davvero di ritirare i 10mila uomini di Unifil – vengono da 50 Paesi diversi – ogni guerra futura verrà trasformata in massacro indiscriminato. Come si è ben reso conto, per una volta, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, Unifil deve restare dov’è, per evitare che criminali, autocrati, dittatori e affaristi possano fare ciò che vogliono. Tenere Unifil in Libano significa tentare di evitare che le lancette della Storia tornino indietro. Significa evitare che i cattivi vincano.

 

 

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