Piazze rivali

Ancora una giornata di manifestazioni contrapposte a Caracas. Occhi puntati sul 23 febbraio. Il Paese è sull’orlo della guerra civile e in piena crisi umanitaria mentre la diplomazia non fa passi avanti per mediare

di Maurizio Sacchi

Il 23 febbraio potrebbe essere una giornata decisiva per le sorti del Venezuela. Mentre ieri l’opposizione guidata da Guaidò – o governo provvisorio, se si accetta il punto di vista dei Paesi che lo hanno riconosciuto – ha convocato i venezuelani in massa per dare la spallata finale al regime di Maduro, al ponte di Tienditas, vicino Cucuta, in Colombia, il convoglio di aiuti umanitari promosso dagli Stati uniti e sostenuto da una buona parte della comunità internazionale, aspetta di entrare in terra venezuelana. Guaidò ha detto ai suoi sostenitori nella capitale che gli aiuti umanitari verranno portati in Venezuela il 23 febbraio. “Abbiamo quasi 300.000 venezuelani che moriranno se gli aiuti non entrano – ha aggiunto – e ci sono quasi due milioni di persone a rischio di salute”.

Simon Bolivar. Simbolo nazionale

Ma Maduro, che ieri ha chiamato anche lui i suoi sostenitori in piazza per denunciare le colpe degli Stati Uniti che vogliono intervenire nella crisi, ha già dichiarato che non permetterà l’ingresso di nessuno che non sia stato autorizzato; e che l’esercito ha istruzioni di respingere ogni tentativo di forzare la frontiera. E ai militari di stanza al confine Guaidò ha lanciato un appello per permetterne l’entrata. Anche per quanto riguarda le manifestazioni di piazza, il comportamento che terrà l’esercito avrà un peso determinante negli eventi successivi.

E’ in dubbio la fedeltà dell’esercito a Maduro? A far pendere la bilancia a favore dell’erede di Chavez vi sono due fattori importanti: il primo è il forte vincolo, anche economico, creato da Maduro con la cupola dei quasi 2.000 generali che dirigono le Fuerzas Armadas Bolivarianas. E il secondo è l’efficacia dei controlli esercitati dalla sicurezza interna delle Forze armate, sostenute dai servizi di intelligence cubani, che fino ad ora hanno sventato una serie di tentativi di colpi di stato da parte di settori dell’esercito.

Il Bolivar moneta nazionale. L’inflazione è alle stelle

Contro Maduro gioca però quello che pare essere un malcontento diffuso fra i ranghi intermedi e bassi delle forze armate, che non godono dei privilegi del vertice, e che vivono anch’essi il dramma di un Paese ridotto allo stremo. E infatti Guaidò, oltre a promettere l’amnistia agli ufficiali di alto rango, se si schiereranno con la Asamblea Nacional, ha fatto appello a tutti i militari, in particolare ai ranghi intermedi, perché permettano l’entrata del convoglio umanitario, e perché colgano l’occasione delle manifestazioni per un “pronunciamiento”, un aperta adesione e riconoscimento del governo provvisorio autoproclamato. C’è quindi il rischio concreto che dalle parole si passi alle armi. E’ difficile credere, infatti, che la parte dell’esercito fedele a Maduro, e che non può limitarsi ai soli generali, ceda le armi senza opporre resistenza. E che dire dei 20.000 soldati regolari cubani presenti in Venezuela oggi? Il rischio di una guerra civile è tutt’altro che disinnescato.

La comunità internazionale ha fatto sentire la sua voce, ma non è una voce unanime. Se il fronte dei Paesi americani è diviso dalla fedeltà della Bolivia di Morales, del Nicaragua e di Cuba, e dalle posizioni critiche di Messico e Uruguay, sullo scenario mondiale, gli altri due giganti, Russia e Cina, e la Turchia di Erdogan, riconoscono ancora Maduro come presidente legittimo, e hanno già ammonito contro ogni intervento armato. La posizione europea è nota, come anche la posizione, per altro ancora oscillante dell’Italia, sebbene il ministro degli Esteri Moavero Milanesi abbia in questi giorni affiancato Roma alla richiesta di altri Paesi europei per nuove elezioni presidenziali.

L’11 febbraio invece il Ministro dell’agricoltura cinese, e rappresentanti di Russia e Turchia, hanno ribadito in un incontro pubblico il loro sostegno al governo chavista. E la domanda legittima è: quale sarebbe la reazione di queste potenze, se Maduro venisse rovesciato con un atto di forza? Nella vicina Colombia infine non devono credere davvero a un’imminente caduta di Maduro. Il quotidiano El Espectador di Bogotà prevede solo “un 2019 di isolamento e miseria per Maduro”. Dal canto suo Maduro, nel discorso che ha pronunciato davanti ai rappresentanti dei Paesi amici, la Colombia è stata definita come “il peggior nemico della Colombia sulla faccia della terra.”. Quanto alle iniziative di mediazione non sembrano decollare e la diplomazia appare in ritardo sul ritmo degli eventi.

E se a questo atto di forza partecipassero truppe di altri Paesi? Trump ha dichiarato che se il convoglio venisse attaccato, le reazioni potrebbero essere “estreme”. E che forze militari americane saranno a protezione del convoglio che attende alla frontiera colombiana. Non sono premesse rassicuranti. Ma la piazza non aspetterà i tempi della diplomazia. In febbraio nelle piazze e alla frontiera del Venezuela, molte cose si decideranno in minuti, e saranno affidate alle reazioni di militari e civili, sotto grande pressione.

In copertina le due torri contrapposte di Piazza Caracas nella capitale (Christian Vielma)

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