In gravi difficoltà versano anche l’Eritrea, la Sierra Leone con i suoi diamanti che arricchiscono poche persone (sempre le stesse) sprofonda al 180° posto. Ci sono poi il Mozambico e il Sud Sudan, la Guinea che vende bambini in Marocco e il Burundi «sull’orlo del baratro» sottolinea Nigrizia, mentre il Ciad non si riscatta col petrolio e il Burkina Faso è anocra nelle sabbie mobili.
«Nel biennio 2015/2016 – scrive Luisiana Gaita sul Fatto Quotidiano – dieci tra le più grandi multinazionali hanno realizzato complessivamente profitti superiori a quanto raccolto dalle casse di 180 Paesi del pianeta.
Il divario, però, ha radici più profonde. Sette persone su dieci vivono in luoghi dove la disuguaglianza è cresciuta negli ultimi 30 anni: tra il 1988 e il 2011 il reddito medio del 10% più povero è aumentato di 65 dollari, meno di 3 dollari l’anno, mentre quello dell’1% più ricco di 11.800 dollari, vale a dire 182 volte tanto».
Oggi un amministratore delegato delle 100 società più capitalizzate dell’indice azionario Ftse «guadagna in un anno tanto quanto 10mila lavoratori delle fabbriche di abbigliamento in Bangladesh». Dato del rapporto Oxfam.
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