Si è chiusa ieri con un rinvio la prima giornata del processo al vertice della Lega nazionale per la democrazia nelle persone di Aung San Suu Kyi, del presidente Win Myint e dell’ex sindaco della capitale Myo Aun apparsi in un tribunale speciale a Naypyidaw per rispondere alle prime tre accuse. Il processo farsa alla Lady è solo alle battute preliminari. Ieri si è cominciato con tre casi per Suu Kyi (possesso di walkie-talkie importati illegalmente, violazione della legge sulle telecomunicazioni e di quella sulla gestione dei disastri naturali) accanto a un’accusa sempre sulle legge che riguarda i disastri contestata anche a U Win Myint. La corte – riferisce il quotidiano Irrawaddy – ha ascoltato solo le testimonianze dei testimoni dell’accusa senza controinterrogatorio. Gli imputati hanno potuto vedere i loro difensori, guidati dall’avvocato Khin Maung Zaw, solo due volte prima del processo.
Se le accuse fossero provate (corruzione, violazione della legge sul segreto di Stato, di quella sull’import-
export, sui disastri naturali e per incitamento) comporterebbero una pena massima alla Lady (secondo i calcoli della Bbc) di 42 anni. Ma se anche fossero solo 25, come qualcun altro ha ipotizzato, la 75enne signora di Yangon, che sabato prossimo ne compie 76, avrebbe davanti il carcere per il resto della vita.
Nonostante la mobilitazione di sabato scorso in una ventina di Paesi e una lettera del governo clandestino a Boris Johnson perché mettesse il Myanmar nell’agenda del G7, se ne parla solo al 59mo punto (di 67) del comunicato ufficiale: per ribadire il sostegno all’Asean, l’associazione regionale del Sudest asiatico dimostratasi incapace di gestire il dossier se non avallando alla fine l’esistenza della giunta. Nulla invece sul Nug che sta tentando di ottenere un riconoscimento formale per poter essere rappresentato all’Onu.
Se poco è accaduto in Cornovaglia, nulla succede in Italia. Le interrogazioni parlamentari sulle munizioni italiane ritrovate in Myanmar sono già due (Palazzotto Quartapelle) cui si è aggiunta qualche giorno fa anche un richiesta di Sensi (Pd) sul caso SecurCube, una vicenda su cui Sabrina Moles aveva fatto luce su ilmanifesto nel marzo scorso anche se poi si chiarì che la ditta trevigiana aveva venduto sistemi di controllo telematico al governo democratico e non alla giunta. Quanto alle pallottole Cheddite invece, le interrogazioni, l’inchiesta giornalistica e soprattutto le richieste di diverse organizzazioni della società civile (Amnesty, Rete Pace Disarmo, Birmania Insieme, Opal e Atlante delle guerre) non hanno avuto nessuna risposta. E in quel caso, le pallottole fabbricate in Italia (o forse assemblate altrove) arrivarono ai militari birmani quasi certamente in tempi non sospetti (cioè quando governava la Lady) ma è un fatto sia che fossero fuori legge, sia che sono state impiegate per reprimere una rivolta pacifica.
(Red/Em. Gio.)