Proteste a Cuba: Biden si schiera ma non leva l’embargo

Mancano  cibo e medicine, una protesta nata dalla disperazione che mette a bilancio arresti e una vittima. E la pandemia cresce. Gli Usa  puntano sul cambio di regime

di Maurizio Sacchi

A Cuba non si arrestano le proteste. In tutte le città del Paese manifestazioni spontanee hanno occupato le strade, e si sono registati violenti scontri con la polizia, seguiti subito da un’ondata di arresti e dal tragico bilancio di un morto. Il motto che circola, e già fatto proprio dai giovani rapper cubani è “Patria y vida”, in chiara opposizione e polemica con il motto rivoluzionario che recita “Patria o muerte”. L’appello alla vita non è esagerato, perché la terribile crisi che ha colpito il Paese ha svuotato i negozi, e specialmente quelli in moneta “non convertibile”, a cui sono costretti a ricorrere la maggior parte dei cittadini, non in possesso di una carta di credito rifornita di moneta forte. Manca soprattutto il cibo, ma anche i medicinali. E l’isola, che durante tutta la prima ondata della pandemia aveva registrato bassissimi tassi di contagio e decessi, ora è sferzata dal Covid-19,  con 250mila contagiati e 1.600 decessi vacilla e non ha le risorse per affrontare adeguatamente il diffondersi della malattia. Dietro alle proteste c’ é quindi un popolo alla fame e disperato.

Come è successo tutto questo? Perché Cuba, e il suo Governo, che avevano superato anche il terribile “periodo especial” seguito alla partenza dell’Urss, e alla fine del suo appoggio economico e logistico, questa volta vede in crisi gravissima sia la propria sopravvivenza, che il potere rivoluzionario che da 60 anni è al comando?

Il Presidente Diaz Canel, che è il primo ad occupare la carica a non provenire dalla generazione della Rivoluzione, e che aveva iniziato il suo mandato con un ambizioso programma di riforme economiche e sociali, volto a modernizzare l’economia e la società cubana, ha dichiarato subito che il vero responsabile della crisi è l’embargo, che blocca le importazioni di tutti beni essenziali, e strangola l’economia e ogni tentativo di apertura. Già dall’inizio delle proteste ha trovato alleati di peso  in questa denuncia. Dal Brasile, Lula, ora pienamente assolto dalle accuse che lo avevano portato in carcere, In un incontro virtuale con il presidente argentino  Alberto Fernández, ha dichiarato: Cuba è vittima di un’altra pandemia, quella di un ingiusto blocco statunitense”

La vittoria di Joe Biden aveva fatto sperare in un cambio di rotta degli Usa nella sua politica con Cuba. Speranze subito andate deluse: perché anziché tornare alle aperture introdotte a suo tempo da Obama, e poi cancellate a favore di un embargo ancor più duro da Donald Trump, l’attuale Presidente americano ha confermato le misure del suo predecessore. E infatti Biden, fatto oggetto di un duro attacco da parte di Diaz Canel e di tutto il vertice di potere, ha risposto: “Il popolo cubano sta chiedendo la sua libertà da un regime autoritario. Chiediamo al governo di Cuba di astenersi dalla violenza nel tentativo di mettere a tacere le voci del popolo cubano (…)Siamo con il popolo cubano e con la sua  chiara richiesta di libertà e sollievo dalla tragica morsa della pandemia e dai decenni di repressione e sofferenza economica a cui sono stati sottoposti dal regime autoritario di Cuba“.

Così, anche lo sviluppo di almeno tre nuovi vaccini nei laboratori cubani rischia di non poter essere utilizzato. L’emergenza sanitaria, che é scoppiata quando Cuba, finita la prima ondata, ha dovuto raprire al turismo, unica fonte di entrate per il Paese, ed ha visto quindi arrivare con i turisti anche questo terribile ospite, ha indotto le autorità a far partire le vaccinazioni anche senza aver completato le fasi di sperimentazione. Ma per una produzione del Soberana 2 e degli altri vaccini nazionali su scala industriale sono necessari macchine e reagenti, che dipendono dalle importazioni, anch’esse bloccate dall’embargo. 

Ma a quanto pare l’amministrazione Biden ha deciso di puntare su un rovesciamento del regime cubano, che pare porre come condizione per il sollevamento del blocco economico. Tutto ciò è in linea con la dottrina attuale del governo a stelle e strisce, che pare aver rinunciato alla politica apertamente aggressiva di Trump, ma che pone -almeno nella retorica- il rispetto dei diritti umani come condizione per instaurare rapporti pacifici con i suoi interlocutori. Una retorica che mostra la corda: come nella sostanziale continuità della politica Usa verso i migranti e i rifugiati che si affollano alla sua frontiera meridionale. E qui nulla è cambiato con la dipartita di Donald Trump. Viene da domandarsi quante altre sanzioni dovrebbero applicare gli Stai uniti, e verso quanti governi, se questa visione dovesse davvero essere applicata verso ogni governo che Washington giudichi non all’altezza dei propri principi dichiarati.

Nell’immagine, una foto di Yerson Olivares per Unsplash

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