Rame, diritti, ambiente: le sfide di Cile e Perù

Privatizzazioni. Il boom del rame può finanziare le riforme di Boric a Santiago? A Lima, scelte al bivio fra ambiente e economia

#PrivatoNOGRAZIE! è una campagna promossa da Unimondo a partire dal “decreto concorrenza” votato a Roma dal Consiglio dei Ministri nel novembre del 2021. Il tema riguarda l’Italia ma quello delle privatizzazioni non è un tema secondario in nessuna parte del pianeta. Come sito “fratello” che appoggia la Campagna di Unimondo dunque, pubblicheremo alcuni articoli che indagano il fenomeno in diversi luoghi del Mondo. Questo è il primo

di Maurizio Sacchi

Il Presidente eletto del Cile Gabriel Boric ha detto, durante un discorso dopo la sua vittoria elettorale, che si opporrà alle iniziative minerarie che “distruggono” il Paese, come il controverso “progetto Dominga” di estrazione di ferro, rame e oro. Ha aggiunto che il suo governo difenderà i diritti sociali, ma con responsabilità fiscale e cura dell’economia. “Distruggere il Mondo – ha detto – è distruggere noi stessi. Non vogliamo più zone di sacrificio, non vogliamo progetti che distruggono il nostro Paese, che distruggono le comunità e [questo é] un caso (…) simbolico: No a Dominga“.

In agosto una commissione di valutazione ambientale aveva approvato il progetto nel Nord del Paese, bloccato da anni dalla forte opposizione dei gruppi sociali e ambientali. Il progetto Dominga, nella zona della città di La Serena ,  si realizzerebbe nelle vicinanze di importanti riserve ecologiche, e potrebbe causare gravi danni ambientali nella regione. Si calcola però che da esso si potrebbero estrarre  12 milioni di tonnellate di concentrato di minerale di ferro e, soprattutto 150.000 tonnellate di concentrato di rame. Ogni anno.

Il rame, “il petrolio del futuro”, nelle parole di Sepulveda Allende, figlio del presidente Salvador Allende deceduto all’inizio del golpe di Augusto Pinochet, è una risorsa fondamentale per la costruzione delle auto elettriche, e rappresenta anche la più importante voce nelle esportazioni del Cile. E’ quindi chiaro che la necessità di equilibrare l’esigenza di finanziare i programmi sociali – sanità, istruzione e pensioni, privatizzate durante e dopo la dittatura –  con la difesa dell’ambiente e delle comunità delle zone forestali, rappresenta una sfida fondamentale per il giovane Presidente neoeletto (nell’immagine).

Il rameè elemento centrale non solo nell’economia del Cile, ma anche nella sua storia politica. La crisi delle esportazioni fu uno degli elementi che indebolirono il governo di Salvador Allende nei due anni che precedettero il golpe. Il calo delle esportazioni era dovuto principalmente alla caduta del prezzo del rame. Il Cile era in balia delle fluttuazioni internazionali del valore della sua esportazione più importante. Comeè il caso di molti Paesi in via di sviluppo, più del 50 percento delle esportazioni dipende da un singolo bene, spesso minerario. Le fluttuazioni del prezzo internazionale del rame, allora condizionate dalla prima importante crisi del prezzo del petrolio,  influenzarono negativamente l’economia cilena per tutto il 1971-72. Il prezzo del rame cadde dai 66 dollari per tonnellata nel 1970 a soli 48-49 dollari nel 1971 e 1972. Gli aumenti salariali imposti dal governo di Unidad Popular, e l’interruzione degli aiuti economici, principalmente dagli Stati Uniti,  avrebbero ulteriormente depresso l’economia, portando a una iperinflazione, che alimentò le proteste che precedettero il golpe del 1973.

Iperliberismo e iperstatalismo

Da allora il panorama é molto cambiato, e anche il modello ultraliberista dei “Chicago boys”, che la dittatura impose, ha mostrato la corda, con l’impoverimento della classe media, e la crisi del modello sociale, che ha escluso la gran parte dei cileni da diritti fondamentali, come l’istruzione, l’accesso alla sanità, e le pensioni, e ha portato alle proteste che hanno preceduto la pandemia, e alla revisione della Costituzione, ed ora alla vittoria delle sinistre, che hanno il compito di garantire i diritti che la nuova Carta fondamentale sta ridefinendo. Insieme al modello neoliberista, è però certamente obsoleto ogni progetto di statalizzazione delle risorse. I tentativi in questa direzione in America Latina si sono dimostrati al tempo stesso impraticabili e controproducenti. 

L’altro grande esportatore di rame, e vicino del Cile, il Perù, racconta una storia esemplare. Il 28 luglio del 1988, l’allora giovane Presidente Alan Garcia  annunciò un ambizioso  programma di nazionalizzazione della maggior parte delle più grandi banche, assicurazioni e società finanziarie del Paese, e prevedeva di convertire 116 monopoli statali in “imprese nazionali”, cioè a partecipazione congiunta del settore privato, dei lavoratori e del governo. Nel tentativo di ridurre le spese inutili, il governo proponeva di smantellare il monopolio totale sulla distribuzione del riso, la commercializzazione delle foglie di coca, l’elettricità, l’acqua, i sistemi fognari e altre attività.

La  politica economica si basava su valori anti-imperialisti dell’Apra, ‘Alleanza popolare rivoluzionaria americana, e isolò il Perù dai mercati internazionali, con conseguente diminuzione degli investimenti nel Paese. Il mandato di García fu marcato da attacchi di iperinflazione, che raggiunse il 7.649 percento nel 1990 e un totale cumulativo di 2.200.20 percento nei cinque anni della sua presidenza. Il debito estero aumentò fino ai 19 miliardi di dollari nel 1989., La moneta peruviana, il sol, fu sostituita dall’inti nel febbraio 1985 (prima dell’inizio della sua presidenza), che a sua volta fu sostituito dal nuevo sol nel luglio 1991, che aveva un valore cumulativo di un miliardo di vecchi sol. Secondo gli studi dell’Istituto Nazionale di Statistica e Informatica e del Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite, all’inizio della sua presidenza, il 41,6 percento dei peruviani viveva in povertà. Durante la sua presidenza, questa percentuale aumentò fino al 55 percento nel 1991. Il Fondo Monetario Internazionale e la comunità finanziaria  isolarono ulteriormente il Perù, dopo che l’amministrazione di García dichiarò unilateralmente un limite al rimborso del debito pari al 10 percento del prodotto nazionale lordo.

Le conseguenze di questa disastrosa situazione furono di segno opposto, con l’avvento del superliberista Fujimori, e la parallela ascesa della sanguinosa guerriglia di Sendero Luminoso, che hanno lasciato il Perù in una crisi economica e sociale. I primi passi del nuovo governo di Pedro Castillo (nella foto) sono stati incerti, con la sostituzione già nelle prime settimane del Ministro dell’Economia. E anche qui la difficile esigenza di finanziare lo Stato con i proventi delleesportazioni minerarie si scontra con le esigenze ambientali. Ora infatti, la compagnia britannica Hochschild Mining  é in rotta di collisione con il governo del Perù, che vuole la chiusura di diverse miniere nella regione meridionale di Ayacucho, a causa deil loro impatto ambientale. La compagnia ha dichiarato l’intenzione di “difendere vigorosamente” il proprio piano di continuare a estrarre oro e argento da due miniere – Pallancata e Inmaculada – che sostiene di sfruttare secondo i “più alti standard ambientali”. Il portavoce della compagnia britannica, Ignacio Bustamante, ha definito di “natura illegale” l’azione prevista dal governo e che “difenderà vigorosamente i suoi diritti di operare queste miniere usando tutte le vie legali disponibili”.

Scelte difficili 

In borsa, le azioni Hochschild sono crollate di quasi il 40 percento nella prima settimana dell’anno,  bruciando  più di 300 milioni di sterline del valore della società,  a seguito dell’annuncio del Primo ministro peruviano, Mirtha Vásquez, che  ha detto ai media locali durante il fine settimana che quattro miniere nella regione meridionale di Ayacucho sarebbero state escluse da un’ulteriore espansione”, e sarebbero state chiuse “il più presto possibile”. Anche le altre imprese estrattive che operano nel Paese -Anglo American, Newmont, Glencore e Freeport-McMoRan e le cinesi MMG e Chinalco, sono in allarme.

Hochschild Mining ha dichiarato: ”Siamo pronti ad avviare un dialogo con il governo per risolvere qualsiasi malinteso riguardo alle nostre operazioni minerarie. Tuttavia, data la natura illegale dell’azione proposta, l’azienda difenderà vigorosamente i suoi diritti di operare queste miniere usando tutte le vie legali disponibili”. Il Perù è dunque l’esempio in un certo senso opposto al Cile, dove Boric difende i diritti essenziali con scelte che comportano rischi ma senza catapultare nel vuoto il mercato locale e il Paese. Nel contempo Castillo, un uomo che non ha molta esperienza di economia, rischia di precipitare il suo, al netto del suo desiderio di proteggere chi di diritti non ne ha, in una nuova crisi estremamente pericolosa. Sono scelte difficili e che richiedono equilibrio, dibattito e passi discreti. Non certo solo scelte ideologiche che rischino di creare le premesse per un ritorno a esperienze di segno opposto.

Rame, una delle materie prime più appetite al Mondo. Nello scatto di David Knudsen, una miniera americana

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