Razzismo a Papua: Giacarta sigilla il web

Il presidente Jokowi intanto ha finalmente chiesto alla polizia di intervenire contro chi usa  slogan contro i neri papuasi che protestano da giorni

di Emanuele Giordana

Quattro giorni di proteste consecutivi a Farfak, Mimika, Manokwari, Sorong, Jayapura,  nomi di alcune località delle province indonesiane di Papua e Papua Barat (un tempo Irian Jaya) dove da lunedi la piazza protesta contro il trattamento razzista riservato a Surabaya (Giava) ad alcuni studenti in trasferta nell’isola che ospita la capitale Giacarta. E’ li che venerdi scorso folla e polizia hanno circondato un dormitorio studentesco dove una quarantina di papuasi erano accusati di aver oltraggiato la bandiera nazionale. I video dell’incidente di Surabaya han fatto il giro dei social, molto diffusi in Indonesia, e a poco sono serviti gli inviti del presidente Jokowi a “perdonare” i concittadini accusati di aver apostrofato gli studenti con slogan razzisti chiamandoli “scimmie”.

Tra la folla di Surabaya c’erano anche agenti di polizia e soldati accusati di aver spalleggiato i dimostranti che se la prendevano con gli studenti. Tra l’alto la polizia, dopo aver sparato gas lacrimogeni nel dormitorio aveva arrestato gli studenti per poi rilasciarli dopo poche ore senza aver trovato alcuna prova del fatto che fossero stati responsabili di oltraggio alla bandiera.
La più orientale delle province indonesiane è non solo la più povera (pur ospitando la più grande miniera d’oro del mondo proprietà dell’americana Freeport McMoran) ma è abitata da gente il cui colore della pelle è diventato un elemento di emarginazione che ha fatto infuriare una popolazione che da sempre si sente cittadina di serie B nel grande arcipelago. Per tutta risposta il governo ha deciso di bloccare Internet per tentare di limitare l’uso dei social, alimentando una rabbia contenuta solo con l’invio a Papua di oltre mille agenti e l’arresto di decine di attivisti.

Jokowi durante la campagna elettorale che lo ha riconfermato nel 2019

Solo ieri finalmente il presidente Jokowi ha detto pubblicamente di aver chiesto alla polizia il pugno di ferro contro episodi razzisti ammettendo di fatto ciò che in un primo tempo aveva sottovalutato. La protesta a Papua si era intanto estesa anche a Giava in diverse città dove papuasi e giavanesi hanno manifestato solidarietà agli studenti di Surabaya: “Stop Rasis” (Stop al razzisomo) e “Kami bukan monyet” (Non siamo scimmie) stava scritto sui cartelli agitati dai dimostranti in diverse città indonesiane.

“I disordini sono l’accumulo di molti problemi che non sono stati ancora risolti”, sostiene Adriana Elisabeth, una ricercatrice dell’Istituto indonesiano delle scienze (Lipi) che è anche coordinatrice della Papua Peace Network, una rete per facilitare il dialogo col governo. Intervistata dal Jakarta Globe, Adriana sostiene che continua a crescere il divario di ricchezza tra i locali e i tanti indonesiani che, provenienti da altre parti dell’arcipelago, si insediano nell’area: “L’identità locale è stata umiliata verbalmente e se lo associamo ai problemi economici ciò provoca anche invidia sociale. Numerosi siti commerciali sono stati danneggiati durante i disordini e ciò dimostra l’antipatia per i migranti. Sebbene le interazioni quotidiane siano relativamente tranquille, il problema di fondo non viene risolto e una piccola scintilla può innescare disordini di massa…”, conclude la ricercatrice che punta l’indice su questioni relative ai diritti umani mai risolte e sottovalutate con discriminazione razziale ed emarginazione: problemi che non sono mai stati affrontati.

La notizia della chiusura di Internet intanto ha fatto il giro del Paese sollevando reazioni: la rete per la libertà di espressione del Sudest asiatico (SAFEnet) sta usando l’hashtag “”keep it on”” per spingere il governo a revocare il divieto mentre Veronica Koman, avvocatessa per i diritti umani, ha detto ad Al Jazeera che il suo team sta presentando una denuncia per il blocco al relatore speciale delle Nazioni Unite sulla libertà di espressione.

Intanto il governo non nasconde la preoccupazione per la presenza durante le manifestazioni di attivisti dell’Organisasi Papua Merdeka (Opm), la più antica organizzazione indipendentista dell’area. Nei mesi scorsi tra l’altro tre gruppi separatisti armati hanno annunciato la creazione di una West Papua Army coordinata dall’United Liberation Movement for West Papua (Ulmwp). I nodi vengono al pettine e non è detto che la protesta – ieri al suo quarto giorno consecutivo – rientri.

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