di Raffaele Crocco
Poche righe. Servono solo poche righe per raccontare l’ennesimo suicidio della nostra democrazia, schiantatasi ancora una volta su un misero 28% di elettori alle urne. Non aver raggiunto il quorum è l’ennesima prova di quanto sta accadendo nel nostro Paese. La convinzione che la democrazia sia superata, inutile, si è radicata nella pancia e nella testa degli italiani, troppo occupati a sopravvivere mentre coltivano il sogno di diventare ricchi e impuniti. La miseria, si sa, va di pari passo con l’illusione. Non è un caso che nei Paesi più poveri al Mondo ci sia il maggior numero di lotterie.
Contemporaneamente, si è fatta strada nella testa di chi vuole comandare senza vincoli e limiti, la convinzione che le dittature funzionino meglio, se si travestono da democrazie. I tempi – e i comportamenti degli umani – sembrano dar loro ragione. Non servono eccessi militari o violenze evidenti: basta lasciare ciascun cittadino e cittadina nella convinzione di essere liberi e sicuri. Il gioco, così, è fatto. E lo scivolamento verso “l’autoritarismo consenziente” è cosa naturale e indolore.
Così, non si va a votare perché “tanto sono tutti uguali”. Si affossano i partiti, trasformandoli come oggi sono in comitati elettorali, perché “tanto è tutto un magna-magna”. Non si partecipa alla vita collettiva, si lascia che furfanti, speculatori e approfittatori di turno si arricchiscano smembrando lo stato sociale e sostituendolo con “servizi privati” o distruggendo diritti sul lavoro e salari.
Tutto ciò che è collettivo sembra diventato infetto: come la peste nera. E come negli anni della peste nera, chi può si rifugia in campagna, lontano da tutto e tutti. Gli altri, si chiudono in casa, disertano la piazza, la strada, il clamore popolare, lo stare insieme. Disertano i seggi, le idee, il confronto. Noi viviamo tempi da peste nera. Avere affossato i referendum ascoltando gli appelli dei monatti e degli untori che vogliono distruggere Costituzione e democrazia, significa vive da appestati, anche senza saperlo.
C’è rimedio? Sì, c’è. È tornare a parlare di politica per quello che è: lo strumento individuale e collettivo della nostra libertà. È tornare a riprenderci le strade e le piazze. È tornare alla rivolta, alla disobbedienza, al dubbio. È tornare ad eleggere rappresentanti di ideali e non rappresentanti di interessi spiccioli, immediati e anche un po’ loschi. È tornare ad educare tutti alla democrazia, alla lotta, al dialogo, al dibattito, al divertimento, ai colori. È smetterla di essere tolleranti verso chi non lo è mai stato e non lo sarà mai.
Sono strade pratiche e possibili. Possiamo cominciare domani a cambiare le cose. L’importante è smetterla di essere indifferenti, pensando che nulla di tutto questo ci riguardi. La peste nera, quella che uscita nuovamente dalle fogne, si nutre proprio di indifferenza.