di Alice Pistolesi
Sono passati poco meno di trent’anni, gli effetti della guerra si sentono ancora tutti, ma a Bihac, cittadina della Bosnia Erzegovina al confine con la Croazia, si respira anche voglia di riscatto. Buona parte delle infrastrutture pubbliche sono ancora inutilizzabili, così come molti sono gli edifici crivellati dai colpi di mortaio. “Investiamo parte del nostro budget nella ricostruzione – spiega Elvedin Sedic, sindaco di Bihac dal 2023 – ma abbiamo ancora molto da fare. Dopo tutti questi anni dobbiamo ancora ricostruire strade, fognature, impianti per il trattamento dei rifiuti e molto altro. Ma, se vogliamo riprenderci davvero, dobbiamo puntare su molto altro: sul turismo, sullo sport, sulla salute pubblica. Il Disturbo da stress post-traumatico, ad esempio, affligge buona parte dei nostri abitanti, sia chi ha preso parte attiva alla guerra, che i civili”.
Un altro dei lasciti delle guerre balcaniche sono le mine antipersona. “È un problema molto grave perché alcune aree che potremmo dedicare al turismo sono tuttora inutilizzabili”. Lo scorso anno la bonifica ha riguardato l’area del vecchio aeroporto militare di Željava, al confine con la Croazia. “Si tratta di un complesso suggestivo perché nascosto tra le montagne e in una zona molto bella. Lo abbiamo ripulito non per ragioni militari, ma con l’idea di renderla una potenziale attrazione turistica”.
Per i migranti Bihac è una città di passaggio, dove fermarsi per un breve periodo prima di tentare l’arrivo in Croazia, ovvero all’interno dei confini europei. Un arrivo che non è però così semplice. I respingimenti verso la Bosnia sono pane quotidiano: le persone provano anche 20-30 volte prima di riuscire ad attraversare il confine. I controlli alla frontiera sono infatti serrati e sono supportati da telecamere termiche nascoste tra gli alberi. Nel 2022, inoltre, le autorità croate hanno tagliato una striscia di alberi lungo una delle colline al confine con la Bosnia per rendere immediatamente visibili le persone che provano ad attraversarla. Bihac è poi, come molte altre città della Bosnia Erzegovina, soggetta allo spopolamento. La diaspora, iniziata poco prima della guerra, è infatti proseguita negli anni. Tra luglio 2013 e dicembre 2021, ad esempio, se ne sono andate dal paese circa 485mila persone e secondo un rapporto pubblicato nel 2019 dal Centro per la popolazione e la migrazione (CEPAM) la BiH potrebbe perdere il 75% della sua popolazione entro il 2060.
“Ufficialmente i cittadini di Bihac – continua il sindaco Elvedin Sedic – dovrebbero essere circa 60 mila, ma in realtà non superano i 25-30 mila e ad andarsene sono i giovani. Se prima a portarli all’estero (principalmente in Germania, Austria e Svizzera) era la mancanza di lavoro, ora quello che manca è la speranza. Dovremmo investire non solo sul creare posti di lavoro, ma anche su attività, luoghi di aggregazione culturale e sportiva, che facciano pensare a crearsi un futuro qui. Tra le attività sportive dal 2022 è attiva nella cittadina la palestra di arrampicata Flamingo Loophole, un progetto realizzato da Mediterranean Hope, il programma delle chiese protestanti italiane, insieme all’associazione sportiva locale Spektrum, e finanziato principalmente dall’Otto per mille delle Chiese valdesi e metodiste. “La palestra è una grande opportunità per Bihać perché ha avvicinato all’arrampicata molte persone che prima non conoscevano questo sport”. Sport e turismo, quindi, come chiavi per lasciarsi definitivamente alle spalle la guerra.
In copertina: Bihac