Stato di eccezione in Honduras

Pugno di ferro contro le bande n Centroameirca. Sullo stile del Salvador

di Gianni Beretta

Nel cosiddetto Triangulo del Norte dell’istmo centroamericano dagli anni Novanta imperversano le maras, bande giovanili, che si sono via via consolidate tanto da convertire il Guatemala, El Salvador e l’Honduras fra i tre Paesi al Mondo in “tempo di pace” con più morti ammazzati ogni centomila abitanti. Fino a che la Presidente progressista dell’Honduras, Xiomara Castro, ha deciso la scorsa settimana di dichiarare lo stato di eccezione esattamente un anno dopo essersi ampiamente affermata alle elezioni generali, ereditando il Paese più povero del subcontinente latinoamericano (insieme al Nicaragua e dopo Haiti) e soprattutto convertito in narco-stato dal suo predecessore Juan Orlando Hernandez (ora estradato negli Usa).

L’obiettivo del provvedimento, che limita diverse garanzie costituzionali, è arginare per l’appunto le pandillas giovanili che infieriscono in particolare nelle periferie della capitale Tegucigalpa e a San Pedro Sula sulla Costa Atlantica. Nello specifico Xiomara si propone di combattere in primis le estorsioni sistematiche a piccole e medie attività commerciali che portano le bande al pieno controllo dei quartieri meno abbienti. Il “là” è stato dato da una protesta dei trasportatori e dei taxisti, vittime in primis del fenomeno, cui si lega pure lo spaccio di droghe. Chi non paga rischia la vita o la violenza su qualche donna della famiglia, nella più totale impunità.

La criminalità giovanile organizzata si è poi ulteriormente incrementata in Honduras per la fuga dei pandilleros dalla frontiera con El Salvador, dove lo stato di eccezione vige già dallo scorso marzo proclamato dal giovane Presidente Nayib Bukele, che da allora ha incarcerato oltre 60mila giovani (compresi un migliaio di dodicenni, sentenziabili fino a dieci anni). Al riguardo il Governo salvadoregno ha disposto la scorsa settimana la Quinta Fase del Piano per il Controllo Territoriale con un irrigidimento delle misure che dispongono ora l’”accerchiamento di interi territori” ad opera dell’esercito (che è stato rinfoltito da 14mila nuovi effettivi) per “estrarre-recita il decreto- gli ultimi mareros rimasti”. Il che ha provocato la denuncia di Amnesty Internacional per “la repressione e le detenzioni arbitrarie” frequentemente operate. La polizia e i militari hanno una sorta di target di arresti da compiere ogni giorno. Conseguentemente Bukele ha disposto l’immediata costruzione di nuove gigantesche prigioni. Mentre alla stampa ha proibito di dare informazioni sulle bande pena una condanna fra i dieci e i quindici anni di carcere.

Visto il relativo successo dell’iniziativa, che non risolve certo le cause strutturali della disperazione della generazionie dei millennials dell’istmo centroamericano, ma dà un po’ di sollievo alla vita quotidiana delle popolazioni (altrettanto povere e disperate) vittime del fenomeno, Xiomara Castro ha dunque deciso di seguire le orme del suo omonimo Bukele. Chissà nella speranza anch’ella di guadagnarsi con questi provvedimenti l’elevato consenso popolare cui è giunto il suo vicino nonostante il clamoroso fallimento del varo della criptomoneta bitcoin.
Sono storicamente due le pandillas che infieriscono in Guatemala, Honduras ed El Salvador: la Mara Salvatrucha (o MS 13) e la Barrio 18; come se non bastasse costantemente in lotta fra loro al prezzo di ulteriori morti ammazzati. Sono nate entrambe a Los Angeles diffondendosi in altre città della California, meta dell’emigrazione di massa centroamericana che fuggiva dai conflitti degli anni ’80. Lì hanno progressivamente avvicendato le bande dei quartieri neri, sorte già dopo la seconda guerra.

Il loro trapianto nei Paesi d’origine ha preso il via l’ultima decade dello scorso millennio, con la deportazione forzata dei mareros che avevano scontato la pena negli States. Inserendosi così in un’America Centrale di paesi freschi di guerre civili e ricolmi di arsenali di armi. La miseria e la violenza estrema fra poveri, con le intoccabili oligarchie locali a guardare, hanno portato queste tre nazioni, già ad alta vocazione migratoria, a un impressionante esodo verso il fatidico Nord. Mentre dal confinante Nicaragua, storicamente poco propenso all’espatrio, è in corso una letterale fuga di massa non per la povertà o la presenza delle maras (che non ci sono) ma per l’asfissiante e capillare repressione della dittatura di Daniel Ortega e della sua vice e consorte Rosario Murillo che, dopo la rivolta popolare del 2018 soffocata nel sangue, hanno convertito il loro paese nella Corea del Nord dell’America Latina.

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