di Maurizio Sacchi
Dopo un 2019 segnato da una collana di proteste sociali, che ha visto centinaia di migliaia di cittadine e cittadini in piazza, il 2020 si presenta come un anno decisivo per la ricerca di risposte alle richieste della popolazione.
In discussione ovunque è il tema della diseguaglianza, e in generale si pone sul banco degli accusati la politica economica di stampo neoliberista, che ha accentuato fino al punto di rottura le differenze fra una ristretta elite e una popolazione esclusa dai più elementari diritti. (Nella sezione dossier Alice Pistolesi prende in esame l’ultimo rapporto Oxfam sulla diseguaglianza, mettendo in luce gli effetti più eclatanti di questo fenomeno in continuo aumento nel mondo). Per vedere quali reazioni susciti la diseguaglianza in Sudamerica, gettiamo uno sguardo su tre casi emblematici,quelli del Cile, della Colombia, e della Bolivia.
Cile
Il 26 di aprile i cileni andrano alle urne per votare sul cambio della Costituzione. L’attuale Carta fondamentale , chiamata “la Constituciòn de Pinochet”, benchè abbia eliminato alcune dele norme più apertamente antidemocratiche, come l’impossibilità del potere politico di sostituire il capo delle Forze armate, ne ha mantenute alcune altrettanto marcate dalla dittatura: le misure anti-terrorismo previste nel testo del 1980 sono rimaste in vigore, e anche una norma che non permette al governo di fare marcia indietro sulle privatizzazioni, prime fra tutte quelle che riguardano l’istruzione, la salute, e le pensioni.
In altre parole, la costituzione in atto blinda il sistema ultraliberista voluto dai cosiddetti “Chicago boys” durante la dittatura. Un sistema che ha accentuato la disparità sociale e l’ineguaglianza, e che ha alla fine scatenato l’ondata di proteste. Mentre la mano libera della polizia e dei Carabineros, mai realmente riformati dai tempi del regime militare, sono alla base della feroce repressione che ne è seguita.
Cambiare la carta fondamentale non è quindi più compito che possa essere svolto per via ordinaria dal parlamento. Una Assemblea costituente eletta dal popolo è l’unica via possibile, ed è diventata la bandiera sotto alla quale hanno trovato unità i variegati movimenti trasversali che hanno dato vita alle proteste, prolungate per mesi e estese a tutto il Paese. Per questo si vota il 26 aprile.
Nelle parole di Miriam Henríquez, docente di diritto costituzionaledell’Università di Santiago: “Revocare e sostituire l’attuale Costituzione neoliberale è cruciale per cambiare il ruolo che lo Stato deve avere nella società, nonché i privilegi di cui godono c i super ricchi e le loro corporazioni, a scapito del benessere del popolo. L’apartheid socioeconomico in cui i cileni hanno vissuto per più di 30 anni, costruito attraverso molteplici leggi e politiche pubbliche che lo riproducono e lo rafforzano, può solo iniziare a essere smantellato con una nuova Costituzione che contenga i diritti sociali ed economici che impongano allo Stato di garantire a tutte le persone una vita dignitosa.”
“La disuguaglianza è così drammatica che una donna di Vitacura, uno dei comuni più ricchi della capitale, vive in media 18 anni più a lungo di una donna di un comune più povero come La Pintana. I cileni hanno vissuto in un apartheid socioeconomico – un sistema che separa la società in base alle risorse economiche – non solo in termini di trasporto e salute, ma anche di istruzione, pensioni e accesso vitale all’acqua.”
Una ulteriore vittoria del movimento del 2019 è stato di garantire presenza politica alle associazioni e ai movimenti trasversali, da quelli femministi agli ambientalisti, alle organizzazioni indigene, e non solo ai partiti tradizionali , nella campagna per eleggere l’Assemblea costituente, A cominciare dalla loro presenza negli spazi televisivi dedicati al dibattito e alla propaganda.
Colombia
Almeno 42 difensori dei diritti umani e leader della comunità e sette membri smobilitati delle FARC sono stati assassinati solo nei primi 45 giorni del 2020,. Un dato drammatico, superiore a quanto registrato nei primi due mesi dello scorso anno.
La organizzazione non governativa Indepaz ha pubblicato l’elenco delle vittime . Due giorni dopo, il direttore dell’Unità nazionale di protezione, una forza speciale istituita dal presidente Duque per proteggere proprio gli attivisti a rischio, si è dimesso, poichè anche il sindacato delle guardie del corpo lo aveva accusato di dirottare risorseumane sulle celebrità dello spettacolo e membri dell’elite, anziché sulle persone a rischio imminente di assassinio.
Prima ancora che sui temi economici, la protesta dei colombiani, in gran parte giovani, si incentra sul diritto civile più elementare, quello alla vita. E l’oggetto delle proteste sono sia la polizia e l’esercito, che i gruppi paramilitari. Spesso i confini fra queste due realtà sono labili, e in molte aree del Paese si mescolano in alleanze perverse con le bande criminali, che condizionano la vita civile ed economica.
L’innesco alle massicce proteste che hanno visto invase le strade colombiane da manifestanti è stato il caso di Dylan Cruz, lo studente di 18 anni colpito alla testa il 25 novembre scorso da un lacrimogeno sparato a distanza ravvicinata da un agente e morto dopo il ricovero in ospedale.
A questo, che è stato definito dai media come un omicidio di Stato, sono seguiti 5 giorni di proteste convocate da movimenti e sindacati contro le politiche liberticide ed economiche del governo.
Un tema che viene fortemente richiesto al governo è una riforma radicale del sistema educativo, in tutti i gradi. Per citare solo il dato delle università, solo il 9 percento dei figli di famiglie di classe povera o medio-bassa ha accesso agli studi accademici, contro un 60 percento delle classi superiori. Per un Paese ricco di materie prime, di terre fertili, e ancora relativamente poco popolato, si tratta di un ulteriore ostacolo al raggiungimento di un benessere equamente condiviso.
Al presidente Ivan Duque si rimprovera di aver ostacolato in tutti i modi la realizzazione degli accordi di pace, che hanno portato allo smobilitamento delle Farc, e che prevedevano misure di reinserimento sociale e lavorativo degli ex guerriglieri. Oltre, ovviamente, alla loro protezione e sopravvivenza. Duque ha invece osteggiato fin dal principio tutto il processo di pace. E se questo non gli ha impedito di arrivare alla presidenza, oggi, secondo un’analisi della BBC, la sua popolarità e crollata al 30 percento in tutto il Paese, compresa la roccaforte personale di Medellin, che ha visto una delle mobilitazioni antigovernative più massicce.
Ma oltre alle proteste, i giovani colombiani hanno preso iniziative positive: come quella di farsi parte attiva in una politica di reforestazione di proporzioni colossali. Il piano prevede di piantare in un anno 180 milioni di nuovi alberi, mobilitando studenti e associazioni civiche ed ambientaliste. E anche le proteste relative alla protezione dei leader sociali stanno dando i primi risultati: Davanti alla speciale Commissione per la verità, durante i dialoghi denominati per la non ripetizione, Alberto Brunori, rappresentante in Colombia dell’Alto commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite, ha affermato che “ l’Onu rafforzerà il sostegno alle campagne contro la stigmatizzazione dei leader sociali”.
Bolivia
Nel Paese andino, in cui la deposizione violenta di Ivo Morales ha visto una sequela di scontri fra i sostenitori del presidente, e esercito, polizia, e oppositori, la autonominata presidente ad interim Jeanine Áñez ha stabilito la data delle nuove elezioni, che si terranno il 3 di maggio prossimo.L’inviato personale del segretario generale delle Nazioni Unite Jean Arnault ha rilasciato una dichiarazione il 3 febbraio che esprimeva cautela in merito alle elezioni.
La situazione in Bolivia, ha affermato Arnault, è “caratterizzata da una polarizzazione esacerbata e da sentimenti contrastanti di speranza, ma anche di incertezza, irrequietezza e risentimento dopo la grave crisi politica e sociale dello scorso anno”. Nel cauto linguaggio delle Nazioni Unite, questo significa che la situazione è estremamente tesa. Quando si chiede al governo provvisorio “di bandire i discorsi di odio e l’incitamento diretto o indiretto alla violenza o alla discriminazione”, si intende che il governo e i suoi seguaci di estrema destra devono stare molto attenti a ciò che dicono e a quanta violenza useranno in questa elezione.
Nel frattempo, Morales è in esilio in Argentina. Il suo partito – il Movimento per il socialismo (MAS) – ha candidati per la presidenza e la vicepresidenza, ma i loro quadri e seguaci stanno affrontando un momento difficile. Le loro stazioni radio sono state chiuse, i loro capi arrestati o esiliati (o bloccati in ambasciate straniere in attesa di asilo),i loro dirigenti malmenati e intimiditi.
Ciò malgrado, il Mas parrebe in vantaggio nei sondaggi, anche se non con la maggioranza assoluta, che permetterebbe la vittoria al primo turno.
Questo è probabilmente il risultato di una crescita economica costante in tutti gli ultimi anni del governo Morales, e al fatto che, per una volta, le risorse sono state reinvestite in gran parte nella costruzione di un sistema sanitario ed educativo pubblico, in contrasto con la tendenza neoliberista dominante.
Le interferenze del governo statunitense di Donald Trump in questa fase sono state esplicite e costanti, con aperte dichiarazioni a favore del colpo di mano dell’esercito che ha portato all’esilio Morales. In gioco in tutto il Sudamerica è una conferma e un esacerbamento delle linee neoliberiste, o una svolta che si ispiri alle rivolte del 2019. E certamente in tutto ciò avrà un peso l’esito delle elezioni negli Stati uniti. Una riconferma di Donald Trump inasprirebbe lo scontro, rischiando di accentuare la diseguaglianza, e i danni all’ambiente. A questo tema dedicheremo un’analisi nei prossimi giorni.