Sudan del Sud: giornalisti in arresto e umanitari uccisi

Cinque reporter in carcere per un video sul Presidente, tre operatori vittime della violenza, mentre continuano esodi e aumenta la fame

Repressione, violenza e povertà estrema continuano a descrivere la drammatica situazione del Sudan del Sud. Nel mirino, tra gli altri, c’è la stampa. Giovedì 5 gennaio, sei giornalisti della South Sudan Broadcasting Corporation (Ssbc) sono stati arrestati dai Servizi di sicurezza nazionale per un video in cui il Presidente Salva Kiir Mayardit è stato mostrato mentre si urinava addosso durante una cerimonia. La South Sudan Broadcasting Corporation afferma però che il filmato non è mai stato trasmesso. Secondo quanto riportato dai media locali, “i giornalisti sono indagati per filmati divenuti virali sui social media a dicembre”. La Union of Journalists of South Sudan ha rilasciato una dichiarazione il 5 gennaio chiedendo al governo di “accelerare un processo amministrativo o legale per affrontare la questione in modo equo e trasparente e in conformità con la legge”.

Il segretario generale dell’International Federation of Journalists  Anthony Bellanger ha chiesto l’immediato rilascio dei giornalisti. “Questo è un chiaro atto intimidatorio e non vediamo alcun segno di colpevolezza da parte dei nostri colleghi che dovrebbero essere autorizzati a esercitare liberamente la loro professione”, ha affermato. Anche il Comitato per la protezione dei giornalisti ha chiesto l’immediato rilascio. Gli arresti corrispondono a “un modello di personale di sicurezza che ricorre alla detenzione arbitraria ogni volta che i funzionari ritengono che la copertura sia sfavorevole”, ha affermato il rappresentante del Cpj per l’Africa subsahariana, Muthoki Mumo, chiedendo il loro rilascio incondizionato. Reporter senza frontiere definisce il Sudan del Sud un Paese in cui “la libertà di stampa è estremamente precaria, dove i giornalisti lavorano sotto costante minaccia e intimidazione e dove la censura è sempre presente”. Nel 2022 il Paese si è piazzato al 128esimo posto nella classifica che ogni anno la ong realizza.

Alla repressione governativa si aggiunge poi il clima sempre più diffuso di violenza. Tre operatori umanitari sono stati assassinati nei primi giorni di gennaio. Uomini armati hanno fatto irruzione in un villaggio nell’area di Abyei il 2 gennaio e ucciso due operatori umanitari e diversi civili. A dichiararlo in una nota l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari in Sud Sudan. Abyei, area estremamente ricca di petrolio, è una Regione di confine contesa tra il Sudan e il Sud Sudan sotto la protezione delle Nazioni Unite da quando il Sud Sudan ha ottenuto l’indipendenza nel 2011. La terza vittima è morta nella stessa settimana mentre sorvegliavano beni umanitari nello stato di Jonglei, una Regione orientale afflitta da violenza armata e conflitti interetnici. “Nei primi giorni di quest’anno, tre operatori umanitari sud-sudanesi che hanno contribuito ad aiutare altri hanno pagato il prezzo più alto – con le loro vite”, ha detto Peter Van der Auweraert dell’Ocha, aggiungendo di essere rimasto “scioccato” dalle uccisioni.

L’Agenzia Onu ha condannato le uccisioni e ha esortato le autorità a intensificare gli sforzi per proteggere le squadre di soccorso. “Gli umanitari stanno lavorando instancabilmente per servire le persone più vulnerabili, comprese donne, bambini e anziani con un’assistenza umanitaria vitale e gli attacchi contro di loro sono del tutto inaccettabili e devono finire”, ha affermato Auweraert. Il Sud Sudan è considerato uno dei Paesi più pericolosi per gli operatori umanitari. Gli ultimi omicidi si aggiungono ai nove operatori umanitari uccisi lo scorso anno e ai cinque nel 2021.

Oltre alla violenza c’è poi la situazione umanitaria a preoccupare. Secondo Relief Web, portale di informazioni umanitarie, nel dicembre 2022 sarebbero 6,31 i milioni di persone che hanno sperimentato livelli elevati di insicurezza alimentare acuta, con 33mila persone che dovrebbero trovarsi nella fase più critica entro marzo 2023. I livelli delle acque alluvionali, inoltre, sono rimasti elevati nelle città di Bentiu e Rubkona in Unity, ostacolando le attività di sostentamento, esponendo le persone a malattie trasmesse dall’acqua e interrompendo la fornitura dei servizi di base.

Un gruppo di osservatori ha poi trovato 17.000 nuovi sfollati che si rifugiavano in tre località nella città di Pibor, a seguito di scontri armati scoppiati nell’area di Gumuruk nella contea di Pibor. I combattimenti armati tra gli allevatori di bestiame e la popolazione di Mangala Payam hanno provocato lo sfollamento di oltre 5.000 persone. Di quelli sfollati, circa 3.000 si sono trasferiti sulle isole del fiume Nilo. Sarebbero poi più di 22.000 le persone sfollate a causa delle ostilità nella città di Kodok, nella contea di Fashoda. Le autorità locali hanno riferito che oltre 14.600 sfollati si sono trasferiti dalla contea di Fashoda alla città di Melut, nella contea di Melut, a causa dei combattimenti. Il Ministero della Salute ha inoltre dichiarato un focolaio di morbillo, a seguito di 2.471 casi segnalati e 31 decessi in 22 contee dal gennaio 2022. 

*In copertina foto by Jorm Sangsorn on Shutterstock

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