Sul Venezuela allo stremo si scontrano Usa, Cina e Russia

La crisi si aggrava:  il 1° maggio  a Caracas e in tutto il Paese  si confronteranno manifestazioni opposte organizzate dal governo di Nicolas Maduro e dall’opposizione guidata da Juan Guaidó

La notizia del momento riguarda il 1° maggio, quando, a Caracas e in tutto il Venezuela, si confronteranno manifestazioni opposte organizzate dal governo di Nicolas Maduro e dall’opposizione guidata da Juan Guaidó . E’ l’ennesimo capitolo di uno scontro che dura da mesi, a partire dal fallito tentativo di far cadere il governo chavista del 23 gennaio scorso. Come nelle occasioni precedenti, ci si aspettano due piazze contrapposte, incidenti anche gravi, ma nessuna soluzione al conflitto fra le due parti, che al momento non hanno nessuna possibilità di prevalere l’una sull’altra,  né si prospetta alcuna luce su una possibile trattativa che ponga fine alla crisi. Non è la sola luce a mancare.

Una sola centrale elettrica, sul punto di collassare, è ancora in funzione, e da essa dipende la fornitura di tutto il Paese. I continui apagones (black-out) hanno messo in crisi la distribuzione dell’acqua, che dipende da pompe elettriche; e interrotto la catena del freddo, facendo andare a male alimenti e medicinali, in una situazione di estrema scarsità di entrambi. Su questo scrive ad esempio il quotidiano di Bogotà El Espectador: “Due dei tre trasformatori di potenza che operavano nell’impianto idroelettrico di Guri, l’unico che rifornisce i 23 stati del paese, sono collassati a marzo e, da allora, solo uno ha assunto il peso dell’intero Paese. Maduro insiste nel garantire che si tratti di un sabotaggio orchestrato dagli Stati Uniti. Tuttavia, una fonte vicina al ministero dell’Energia elettrica ha spiegato a questo giornale perché ci sono così tanti blackout e così continui”. Secondo una fonte, che il giornale colombiano mantiene riservata per ragioni di sicurezza “…al momento non ci sono pezzi di ricambio per i trasformatori e ci sono solo tre società in grado di fornili: Alstom Power (Stati Uniti), Andritz (Austria) e il gruppo ABB (Germania)”. Il problema è che, secondo la fonte, nessuno di questi paesi è disposto ad aiutare il governo Maduro.

Prima ancora di una crisi politica, si tratta di una crisi umanitaria. Al riguardo, Le Monde pubblica un reportage da un quartiere della periferia di Caracas, dove l’acqua manca da settimane. In un’intervista, un’anonima web-designer di 34 anni racconta:  “…la gente compra acqua da bere in bottiglia, mentre i più poveri  riempiono serbatoi di plastica di un liquido torbido proveniente da un tubo che porta all’autostrada, più a valle. Per gli altri bisogni, tutti si sono convertiti al baño frances” – all’aria aperta – il governo Maduro ci ha riportato al Medioevo”.  Malgrado l’arrivo di un primo invio di aiuti di emergenza, portati in Venezuela dalla Croce rossa internazionale, la crisi si fa sentire in tutti gli aspetti della vita quotidiana. Anche il governo riconosce l’emergenza, ma ne accusa gli Stati uniti e il “complotto imperialista”, di cui farebbero parte i Paesi che sostengono l’illegalità di Nicolas Maduro, e riconoscono  Guaidó come presidente ad interim.

Tuttavia, il viceministro della Difesa russo, Alexander Fomin, ha appoggiato la versione degli eventi di Maduro. Fomin sostiene che Washington si sentiva riluttante a lanciare una vera e propria operazione militare contro Maduro, temendo che “avrebbe potuto compattare la nazione dietro l’attuale governo” e irritato altri governi latinoamericani. Ma gli Stati Uniti non sono  un Paese che “resta con le mani in mano”. Stanno, al contrario, “impiegando … una vasta gamma di tecniche” nel loro sforzo di rimuovere Maduro, inclusa una “chiusura forzata delle strutture energetiche [venezuelane]. L’operazione Blackout è in corso”, ha concluso Fomin.

Pompeo, segretario di Stato di Washington, ha gettato benzina sul fuoco: ”Penso che ci sia una lezione … da imparare per tutti noi: la Cina e gli altri [sostenitori di Maduro] sono ipocriti che chiedono il non intervento negli affari del Venezuela, mentre i loro stessi interventi finanziari hanno contribuito a distruggere quel Paese”, ha aggiunto Pompeo, sostenendo che il denaro cinese sia stato utilizzato per pagare gli amici di Maduro, schiacciare gli attivisti pro-democrazia, e finanziare programmi sociali inefficaci. La Cina, che è il più grande creditore straniero del Venezuela, e si stima che abbia fornito fino a  62 miliardi di dollari di prestiti dal 2007, ha reagito seccamente. Il portavoce del ministero degli Esteri, Lu Kang, ha criticato le “accuse infondate” di Pompeo, che “tenta di calunniare la Cina e seminare discordia tra Cina e Paesi dell’America Latina. Gli Stati Uniti hanno a lungo trattato l’America Latina come il proprio cortile, dove ricorrere all’uso intenzionale di pressioni, minacce o persino sovversioni. Ma la gente sa distinguere il bene dal male. Sono sicuro che i paesi latinoamericani sono pienamente in grado di distinguere un amico vero da uno falso, che sta ignorando le regole e diffondendo il caos”, ha detto Lu in una conferenza stampa a Pechino il 22 aprile.

Intanto “l’accerchiamento finanziario soffoca il Chavismo”. Così titola El Pais di Madrid, che dà notizia che Il dipartimento del Tesoro degli Stati uniti  ha sanzionato la Banca centrale del Venezuela (BCV),  e uno dei suoi direttori, Iliana Ruzza Teran, col fine di limitare le transazioni e l’accesso ai dollari americani. L’annuncio arriva tre giorni dopo che il governo del Canada ha applicato restrizioni contro 43 funzionari di Caracas, tra cui il cancelliere, Jorge Arreaza, e diversi capi dei servizi segreti. John Bolton, consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, ha sottolineato che la misura è un “duro avvertimento” agli “attori esterni” – tra cui la Russia – che sostengono Caracas. “La Banca Centrale del Venezuela è stata cruciale nel mantenere Maduro al potere, anche attraverso il controllo sul trasferimento dell’oro con la valuta”, ha dichiarato il funzionario dell’Amministrazione Trump in una conferenza a Miami.

il presidente Nicolás Maduro ha scelto di  vendere le sue ultime riserve d’oro. Secondo Der Spiegel “…dopo il blocco economico e l’assedio diplomatico lanciato dagli Stati Uniti e dai suoi alleati per fare pressione sul ritorno della democrazia in Venezuela, la Banca centrale di Caracas ha messo mano alle riserve, in cui  – secondo il settimanale tedesco – sono inclusi oro, coltan e diamanti, che sono diventati la principale fonte di entrate in valuta del governo, sempre più in difficoltà nel coprire le spese operative e il pagamento del debito”.

Intanto  Guaidó ha lanciato una sua iniziativa nei confronti della Cina, sostenendo che essa troverebbe nell’opposizione attuale  un partner assai più affidabile del governo Maduro. Si conta insomma sul pragmatismo cinese, e sul suo desiderio di non veder sfumare nel nulla gli investimenti fatti in Venezuela, per togliere altro terreno sotto i piedi del regime bolivariano. Schermaglie che preludono a una trattativa? Prova di forza che annuncia un aggravarsi della crisi? Mentre il braccio di ferro continua, il Venezuela è alle corde. E Caracas ha il triste primato della città col più alto tasso di omicidi per persona del pianeta.

In copertina notte a Caracas: ultime luci?

(Red/Ma.Sa.)

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