Tunisia: la rivolta del pane

Senza sovvenzioni statali i costi ricadono sulla popolazione, mentre l'inflazione aumenta e i prodotti scarseggiano. La crisi si fa sempre più forte

La protesta continua ad infiammare la Tunisia, scossa tra scioperi e proteste. Il 19 ottobre i panifici del Paese hanno dato il via a uno sciopero generale che ha raggiunto un tasso di partecipazione del 99% in tutti i governatorati. La protesta deriva dal mancato pagamento dei sussidi statali a sostegno del settore, che sono stimati in circa 250milioni di dinari (78milioni di euro). Il pane sovvenzionato viene venduto a un prezzo fisso e costituisce il principale alimento di chi vive sotto la soglia di povertà, ovvero il 20% circa della popolazione.

Non ricevendo più le sovvenzioni da 14 mesi i panettieri scaricano la differenza sui consumatori, mentre l’inflazione ha raggiunto livelli record dal 1984, l’anno dei cosiddetti “moti del pane” in Tunisia. Anche se lo sciopero è stato poi ritirato, la situazione resta molto tesa con razzie quasi giornaliere nei supermercati.

Nelle ultime settimane, il Paese ha fatto fronte a gravi carenze di vari prodotti di consumo, in particolare quelli importati, come olio vegetale, caffè e zucchero. Secondo l’Osservatorio nazionale dell’agricoltura, come riportato da Agenzia Nova, i prezzi medi per l’importazione di grano duro, anche a causa della guerra in Ucraina, sono aumentati anno su anno del 5,88% alla fine di settembre 2022, mentre i prezzi medi per l’importazione di grano tenero sono aumentati del 61,3%. Il valore delle importazioni di cereali in Tunisia ha raggiunto la quota record di 3.559milioni di dinari (1.112milioni di euro), in aumento del 45,5% rispetto a settembre 2021. La quota delle importazioni di cereali copre il 53,6% del totale delle importazioni alimentari registrate fino a settembre 2022, rispetto al 51,6% dello stesso periodo dell’anno precedente. 

Da giorni, il Paese è scosso da proteste e scontri tra manifestanti e le forze di sicurezza. Dopo i disordini di Zarzis, nel governatorato meridionale di Medenine, e di Cité Ettadhamen, periferia dell’area metropolitana di Tunisi, mercoledì i manifestanti sono scesi in piazza anche a Moknine, nel governatorato di Monastir, nel centro-est della Tunisia. Scontri violenti si erano poi verificati il 14 ottobre nei quartieri popolari di Tunisi, dopo i funerali di un giovane morto, dopo essere rimasto ferito durante un inseguimento con le forze dell’ordine ad agosto. Le proteste prendono di mira il presidente Kaïs Saied, in carica dal 2019, mentre lo stesso Governo mette in guardia contro i “tentativi di seminare discordia” da quelle che definisce “mosche elettroniche” sul web.

Intanto le casse sono sempre più vuote. Il 15 ottobre, il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha dichiarato di aver raggiunto un “accordo personale” per fornire un prestito al Paese di oltre 1,9miliardi di dollari in 48 mesi. L’intesa deve essere ancora approvata dal Consiglio esecutivo che si riunirà nel mese di dicembre. In questi mesi la Tunisia deve però avviare un programma di riforme economiche e strutturali. In passato l’Fmi era già stato costretto a interrompere i flussi dei finanziamenti alla Tunisia per l’incapacità dei governi di attuare le misure richieste.

*In copertina Foto di Mourad El Mekki da Pixabay 

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