Un seggio africano nel Consiglio di Sicurezza

La proposta degli Stati Uniti. Ma senza diritto di veto

di Gianna Pontecorboli da New York

Un seggio permanente senza diritto di veto per due Paesi africani al Consiglio di Sicurezza dell’Onu? A proporli con clamore è stata, la settimana scorsa, l’ambasciatrice degli Stati Uniti al Palazzo di Vetro, Linda Thomas Greenfield (nella foto sotto). L’iniziativa che la rappresentante di Joe Biden al Palazzo di Vetro ha scelto di presentare non soltanto all’interno dell’Onu, ma anche nel prestigioso Council of Foreign Relations di New York di fronte a un foltissimo pubblico di accademici e diplomatici, ha sicuramente un significato preciso.

E alla vigilia dell’apertura della nuova Assemblea Generale che avverrà la settimana prossima, e soprattutto della presentazione, dopo settimane di frenetiche trattative, del ”Patto per Futuro”, che avrà proprio la riforma del Consiglio di Sicurezza come uno dei suoi argomenti più centrali e controversi, quell’invito all’Africa non poteva passare inosservato. Della riforma dell’organo più potente dell’Onu, nato alla fine della Seconda Guerra Mondiale, ormai non più rappresentativo della realtà mondiale e per di più paralizzato dalle recenti divisioni dei suoi membri permanenti, si parla ormai da moltissimi anni.

A iniziare la discussione, quasi trent’anni fa, era stato lo storico ambasciatore italiano Francesco Paolo Fulci, che aveva lanciato, insieme a altri paesi, il gruppo ”Uniting for Consensus” che si batteva per la creazione di una serie di nuovi seggi non permanenti, alcuni a più lunga durata degli attuali due anni. Alla proposta del gruppo a guida italiana si era contrapposta quella di concedere un seggio permanente a 4 Paesi , la Germania, il Giappone, l’India e un paese dell’America Latina, probabilmente il Brasile, che hanno visto aumentare nel corso dei decenni la loro importanza nel contesto politico e economico mondiale. In parte per la scarsa volontà degli attuali cinque membri permanenti di modificare una situazione che concede loro un indubbio potere e in parte per la difficoltà di realizzare la necessaria modifica della Carta dell’Onu, che richiederebbe il voto favorevole di due terzi dei 193 Paesi membri in Assemblea Generale e l’approvazione del Consiglio di Sicurezza, finora nessun passo avanti è stato fatto.

Con la sua nuova proposta, ora, l’ambasciatrice americana ha certo aperto un nuovo capitolo. Da tempo, hanno notato gli osservatori, l’ambasciatrice americana non ha fatto mistero dell’interesse dell’amministrazione Biden nei confronti di un continente in cui la Russia e la Cina espandono da anni la loro influenza . Durante il suo mandato, ha viaggiato molte volte nella regione e ha spesso fatto osservare che, con i suoi 53 Paesi, l’Africa rappresenta ora il blocco più numeroso tra i 193 Paesi membri dell’Onu e quello da cui provengono la maggioranza delle forze di pace. Ora, la sua iniziativa ha trasformato un generico messaggio in una proposta concreta.

”Continueremo a lavorare su questa riforma fino a quando non raggiungeremo qualche risultato su quello che proponiamo”, ha spiegato l’ambasciatrice al Council of Foreign Relations.” Sono una persona ottimista ma anche realista”, ha poi aggiunto,” so bene che è difficilissimo convincere tanti Paesi , ma bisogna tentare”. In effetti, la proposta americana va assai oltre il generico appoggio già dato da molti altri Paesi, tra cui la Russia e la Cina, a una generica espansione della rappresentanza africana tra i membri non permanenti eletti con un mandato di due anni e comprende anche, per la prima volta , il suggerimento di includere un rappresentante delle piccole isole in questo gruppo.

L’offerta dell’amministrazione americana, come ha riconosciuto la stessa diplomatica, incontrerà però molti e diversi ostacoli, a cominciare dalle elezioni che a novembre potrebbero portare al potere Donald Trump o far scegliere a Kamala Harris un rappresentante diverso al Palazzo di Vetro. Al di là di questo, diversi Paesi africani hanno già mostrato la loro decisa opposizione a una posizione di membri permanenti senza diritto di veto, che finirebbe per creare una presenza poco più che simbolica accanto ai cinque potenti membri permanenti attuali. Dare a troppi Paesi il diritto di veto, ha finora risposto in diverse occasioni Linda Thomas-Greenfield, servirebbe solo a rendere più difficile lo sforzo di rendere il Consiglio di Sicurezza più efficiente nel preservare la pace. La discussione su questo punto, è ovvio, è appena agli inizi e si affianca al deciso rifiuto dei cinque membri permanenti attuali, gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, la Gran Bretagna e la Francia, dimettere in discussione il proprio privilegio.

Un altro scoglio, poi, potrebbe essere la scelta dei Paesi da proporre. Fino ad ora, si è parlato della possibile candidatura del Sud Africa, della Nigeria, dell’Egittto, del Marocco, del Kenya o dell’Algeria, e non e’ difficile immaginare gia’ da ora le tensioni che la selezione potrebbe provocare tra Paesi tanto diversi. “Quasi ottant’anni dopo la sua creazione, il Consiglio di Sicurezza si è fermato nel tempo” si è lamentato recentemente il Presidente del Sierra Leone Julius Maada Bio. Adesso, a vedere un possibile sviluppo dell’iniziativa e a rafforzare di conseguenza la voce degli Stati Uniti nel continente africano sara’, forse, il prossimo Presidente. Ma la decisa Linda Thomas-Greenfield pensa che valga la pena di provarci.

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