Usa-Cina: la guerra dei dazi divampa

Hong Kong e Taiwan terreno di scontro fra le due potenze. Crolla Wall Street, e nell’ex colonia torna la violenza. La vendita di caccia F16 a Taipei  irrita Pechino

di Maurizio Sacchi

Gli indici Dow Jones americani  sono crollati di circa 150 punti venerdì 23 agosto, dopo  che la Cina  ha annunciato di voler innalzare le tariffe su circa $ 75 miliardi di merci statunitensi, una parte dal 1 ° settembre, e una seconda tranche dal 15 dicembre – negli stessi giorni in cui entrano in vigore le tariffe Usa sule importazioni cinesi.

E’ arrivato poi l’atteso discorso del capo della Federal reserve , Powell, suscitando recensioni contrastanti. Alcuni l’hanno trovato ottimistico (John Briggs di NatWest: “Penso che sia lun segnale positivo …lascia la porta aperta a qualcosa di nuovo”).

Ma Donald Trump, che si aspettava un taglio dei tassi di interesse per dare fiato all’economia  a stelle e strisce, ha twittato: ”Come al solito, la Fed non ha fatto NIENTE!” E ha aggiunto che la Federal reserve è forse “un nemico peggiore della Cina, e ha aggiunto: “Le società americane hanno l’ordine di iniziare immediatamente a cercare un’alternativa alla Cina, di riportare a casa le nostre aziende, e fabbricare i loro prodotti negli Stati Uniti.”

A queste dichiarazioni è seguito uno scambio di messaggi contrastanti nei confronti della Cina: da un’apparente apertura a ripensare l’aumento delle tariffe, il titolare della Casa bianca è passato a minacciare un ulteriore aumento delle stesse; e infine a “rivelare” che il presidente cinese avrebbe mandato segnali concilianti, suscitando l’immediata reazione cinese, che attraverso il Global Times, tabloid del Partito, ha smentito la notizia.

Intanto a Hong Kong, dopo una settimana di relativa pace fra manifestanti e forze dell’ordine, le organizzazioni di opposizione hanno lanciato una nuova tattica, evitando il terreno proibito dell’areoporto, ma formando sotto una pioggia torrenziale una catena umana, a cui hanno partecipato centinaia di migliaia di persone, -1 milione e 700mila, secondo gli organizzatori- che ha di fatto bloccato la città.

La governatrice Carrie Lam Cheng Yuet-ngor, in una conferenza stampa, non ha risposto direttamente alle richieste dei manifestanti, tra cui un completo ritiro del disegno di legge sull’estradizione,  e l’avvio di un’inchiesta indipendente per esaminare la  brutalità della polizia, proponendo invece di cercare una “piattaforma per il dialogo”. Il 24 agosto, 19 leader e politici della città si sono riuniti alla Government House per cercare una soluzione. Più della metà di loro ha esortato il leader di Hong Kong a avviare un’indagine pubblica sugli incidenti, per consentire lo svolgimento di dialoghi significativi, come riferisce il South China Morning Post.

Contemporaneamente Pechino  ha riunito i suoi massimi esperti sugli affari di Hong Kong nella vicina città di Shenzhen per discutere su come risolvere la crisi. Secondo i media statali, il seminario ha dichirato che Hong Kong deve porre fine alla violenzada sola o che Pechino “interverrà”. “La guarnigione dell’Esercito popolare di liberazione a Hong Kong non è uno spaventapasseri. Costituisce una forza fondamentale per garantire che il principio di “un paese, due sistemi” sia applicato a Hong Kong “, ha dichiarato Maria Tam Wai-chu,  rappresentante politico di spicco pro-Pechino di Hong Kong.

Il rischio che lo scontro in atto passi dal terreno economico a quello militare aumenta. Fra l’altro, i mezzi di informazione ufficiali, e We Chat, il social media dominante in Cina, hanno diffuso in questi mesi un’immagine delle proteste che prepara in qualche modo il terreno per un’azione di forza su Hong Kong. Si mettono in risalto le condizioni economiche, e la libertà di espressione e di movimento degli abitanti dell’ ex colonia, che sono molto superiori a quelle che vivono i cittadini del resto della Cina.  Dipingendo i manifestanti come ingrati e interessati solo a mantenere dei privilegi a loro inaccessibili. E dipigendoli come burattini manovrati dall’esterno, con l’unico scopo di indebolire la Cina.

In realtà, le proteste nascono da rivendicazioni fondate. L’insoddisfazione di buona parte degli abitanti della metropoli si basa ad esempio  sulla crisi degli alloggi. Lo stipendio medio di Hong Kong è inferiore a $ 2.170 al mese, poco più dell’affitto medio. Con lo stipendio medio di un anno si acquista solo 1 metro quadrato , un ottavo di quanto avvenga a New York o Tokyo. I patriarchi delle principali famiglie d’affari – per esempio, Peter Woo di Wheelock, Lee Shau-kee di Henderson Land e i fratelli Kwok di Sun Hung Kai – erano già ai vertici quando la Gran Bretagna governava Hong Kong. Oltre alla proprietà, tali famiglie dominano le industrie con una concorrenza limitata come porti, servizi pubblici e supermercati. Prima della consegna, la Cina coltivava assiduamente gli oligarchi al fine di garantire la loro lealtà, anche offrendo loro succulenti lotti edificabili sulla terraferma.

E la possibilità che i leader delle proteste vengano estradati in Cina, per esservi sottoposti al sistema giudiziario e penale di Pechino, benchè il decreto sia al momento congelato, è certamente un motivo in più per non cedere alle pressioni. Ma la corda è tesa quasi al punto di rottura, e le minacce di un intervento militare ormai sono esplicite. Se le riunioni fra imprenditori e gruppo dirigente di Hong Kong non sapranno dare risposte alle richieste dei manifestanti, e le proteste si inaspriranno, lo scontro frontale -con la prevedibile condanna da parte degli Usa e della diplomazia internazionale- è alle porte.

Più direttamente militare e strategica è stata la mossa dell’amministrazione Trump, che ha appena concluso l’accordo con la Cina nazionalista di Taiwan per la vendita di caccia di ultima generazione all’aviazione degli eredi del Kuomintang. Si tratta di 66 aerei da combattimento F-16 “Viper”, per un valore di $ 8 miliardi. Con la crescente influenza economica, politica e militare della Repubblica popolare cinese gli Stati Uniti sono attualmente l’unico paese disposto a vendere armi a Taiwan.

Un alto comando militare della Repubblica popolare cinese ha commentato che l’acquisto di aerei da guerra americani da parte di Taiwan non aiuterà l’isola a difendersi, e rappresenterà solo un onere finanziario. L’anziano colonnello Cao Yanzhong, ricercatore presso l’Accademia delle Scienze militari di Pechino, ha affermato che i caccia sarebbero “inutili” ail fine di mutare i rapporti di forza dell’isola verso la terraferma. “Questo accordo comporta solo un ulteriore onere finanziario per il popolo di Taiwan, e avvantaggia solo i trafficanti di armi americani …In sostanza,  Taiwan  paga una tassa agli americani per acquistare protezione, ma questo non funzionerà, e non potrà proteggerli”, ha detto Cao.

Nell’immagine in evidenza: uno scatto di Annie Pratt per Unsplash. Hong Kong, case popolari

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