di Gianna Pontecorboli da New York
Quando, martedi scorso, Joe Biden ha presentato le sue prime scelte per la futura Amministrazione, le parole più giuste le ha probabilmente dette lei. E al Palazzo di Vetro sicuramente non sono sfuggite. ”L’America è tornata, il multilateralismo è tornato, la diplomazia è tornata”, ha dichiarato Linda Thomas-Greenfield , la diplomatica afro-americana che Biden ha scelto come ambasciatrice all’Onu:” le sfide che dobbiamo affrontare, la pandemia, la crisi globale del clima, le migrazioni di massa, l’estrema povertà’, la giustizia sociale, sono pressanti e interconnesse, ma non sono insolvibili se l’America mostra la strada”.
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Nel mondo della diplomazia americana, senza dubbio, la posizione di rappresentante degli Stati Uniti alle Nazioni Unite ha un significato particolare. E non per niente all’ambasciatore viene solitamente garantita una posizione ministeriale alla Casa Bianca. Da quando l’Onu è stata fondata, la carica è stata ricoperta, nel corso degli anni, da una serie di diplomatici rispettati e ascoltati come Henry Cabot Lodge, Adlai Stevenson e perfino George Bush nel 1971. Più recentemente, sono state Madeleine Abright, Susan Rice e Samantha Power a rappresentare i successivi presidenti americani di fronte alla diplomazia mondiale, Quando Donald Trump è stato eletto, la carica è passata a Nikki Haley, che a suo modo è riuscita a mantenere una sorta di dialogo e a farsi comunque rispettare, e poi alla sorridente Kelly Kraft, a cui Mike Pompeo aveva lasciato solo un insignificante compito di rappresentanza.
Adesso, dopo quattro anni di ”America First” che hanno visto gli Stati Uniti di Donald Trump staccarsi progressivamente da tutte le conquiste del multilateralismo, sarà quella raffinata signora afro-americana a dover rimettere a posto i cocci e ridare fiducia alla comunità internazionale. Sarà lei a dover ricostruire i ponti per far rientrare l’America negli accordi di Parigi sul Clima e nell’Organizzazione Mondiale della Sanità. E il suo compito, sicuramente, non sarà facile.
Tra le nomine che Biden ha annunciato, però, è stata probabilmente proprio la sua ad aver suscitato il maggior entusiasmo, sia a Washington sia all’estero Linda Thomas Greenfield, infatti, ha alle spalle una storia straordinaria e che merita di essere conosciuta. Nata in Luisiana, è cresciuta in un profondo Sud ancora segregato. ”Dove vivevo quando ero bambina,” ha raccontato alcuni anni fa in un’intervista,” il KKK arrivava tutti i weekend e bruciava le croci sul prato di qualcuno”. Suo padre, che lei descrive come una delle persone più intelligenti che abbia mai conosciuto , aveva fatto la terza elementare, sua mamma la terza media. Quando la giovane Linda è arrivata a studiare alla Luisiana State University, la situazione non era più facile. ”L’ambiente era ostile – ha raccontato – e David Duke, il futuro leader del KKK, era uno studente e predicava lo stesso odio, antisemitismo, suprematismo bianco che avrebbe predicato a Charlottsville nel 2017”.
Malgrado un inizio difficile, la carriera di Linda diventerà presto stellare. Entrata al Dipartimento di Stato nel 1982, la sessantassettenne diplomatica nera non ha fatto fatica a imporsi in un mondo tradizionalmente ”pallido, maschio e Yale”. Ambasciatrice prima in Nigeria, poi a Ginevra, in Pakistan, in Kenya e in Gambia, è diventata in seguito responsabile dell’ufficio Affari Africani. Nel 2017, dopo essere stata emarginata dall’allora segretario di Stato di Trump, Rex Tillerson, è andata in pensione e ha raggiunto, con la carica di vicepresidente e responsabile per l’Africa , l’Albright Stonebridge Group, il gruppo di consulenza creato dell’ex segretaria di Stato Madeleine Albright. ”Avere una donna nera a capo della missione Usa all’Onu è già un passo importante”, ha spiegato alla CNN un suo ex collega al Dipartimeno di Stato,”ma il fatto che sia una donna nera licenziata da Trump dice ancora di piu”’.
Famosa nei paesi africani per la sua gentilezza e per i suoi gesti simbolici, come l’aiutare a raccogliere la spazzatura fuori dalla missione diplomatica o invitare i suoi ospiti ad assaggiare le specialità della cucina Cajun preparate di persona, la nuova ambasciatrice dovrà ora ricucire molti difficili rapporti, a cominciare proprio da quelli con i Paesi dell’Africa. Giusto recentemente, solo per fare un esempio, la missione Usa ha ostacolato la nomina di un diplomatico africano per guidare la missione dell’Onu in Libia. ”La Cina ha giocato le sue carte molto meglio”, ha osservato Daniel Drezner, professore di politica internazionale alla Tufts University: ”Adesso, qualsiasi cosa suggerisca che gli Stati Uniti prestano attenzione all’Africa, dove la Cina è un grande benefattore, beneficerà la diplomazia americana all’Onu”. Alle spalle, per sostenerla, Linda Thomas-Greefield avra’ anche una larga frazione del Dipartimento di Stato, che per quattro anni ha subito in silenzio o è stata emarginata.
”Il multilateralismo per il gusto di ritrovarsi tra colleghi ai cocktail non è nell’interesse degli Stati Uniti d’America”, ha reagito sarcastico alla sua nomina Mike Pompeo. ”La sua nomina è un segnale che gli Stati Uniti si impegneranno di nuovo con il mondo e che l’Amministrazione Biden non sarà piena di individui con un atteggiamento antagonistico di fronte all’Onu”, gli ha risposto a ruota Charles Kupchan, uno studioso del Council of Foreign Relations”. Qualcosa di più, insomma, da offrire alla comunità internazionale insieme a un piatto Cajun cucinato di persona.
In copertina la nuova Ambasciatrice Usa all’Onu
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