Usa: via dal “Trattato Cieli Aperti”

Le ragioni e le implicazioni del ritiro dal Trattato che ha garantito la sicurezza deli alleati europei e contribuito a creare trasparenza e stabilità strategiche in Europa. Gli alleati NATO sono contrari e il mondo più insicuro.

di Elia Gerola

Il 21 maggio 2020 gli Stati Uniti d’America a guida Trump hanno annunciato l’intenzione di ritirarsi dal “Trattato Cieli Aperti”, dopo l’INF, un altro pilastro del regime di sicurezza collettiva nato nella coda lunga della Guerra Fredda viene abbandonato da Washington. In un comunicato a firma del Segretario di Stato Mike Pompeo, si legge che il ritiro diverrà effettivo dopo sei mesi dal 22 maggio, data nella quale la notifica è stata inviata agli Stati Parte e al Segretariato incardinato nell’OSCE.

L’annuncio non giunge inaspettato poiché coerente con la linea politica anti-multilateralista e aggressiva portata avanti dall’Amministrazione Trump. Anche la congiuntura temporale non dovrebbe colpire. E’ vero, gli Usa stanno vivendo un momento critico sul fronte dell’epidemia di Covid19 e della loro leadership globale ma Trump potrebbe aver scelto di sfruttare il fatto che l’opinione pubblica è concentrata prevalentemente su altro e le elezioni presidenziali di novembre incalzano. Ecco che quindi un atto di forza a livello di politica di sicurezza nazionale potrebbe aumentare i consensi per Trump e passare in secondo piano sui mass media più critici.

Membri del Benelux durante un volo sotto l’Open Skies Treaty (CC Osce)

L’Open Skyes Treaty è stato firmato il 24 marzo 1992 ed è divenuto attivo il 1 gennaio 2002. Conta attualmente 34 Parti, che lo hanno firmato e ratificato, mentre il Kirghizistan è il 35esmimo firmatario e non lo ha mai reso legalmente attivo. Paventato già agli albori della Guerra Fredda nel 1955 dal Presidente Usa Eisenhower, il tratto garantisce agli Stati parte il  diritto di condurre voli di ricognizione con velivoli disarmati e scarso preavviso sui territori degli altri aderenti. Il fine è quello di permettere l’osservazione e la raccolta dati a proposito delle forze militari e delle attività ad esse collegate nei territori di altri Stati Sovrani, altrimenti non legalmente accessibili.

L’apertura reciproca degli spazi aerei acconsentita dai Paesi aderenti venne realizzata anche con lo scopo di permettere lo sviluppo di maggiore fiducia reciproca, basata su un regime di cooperazione e trasparenza informativa che hanno incrementato fortemente la prevedibilità e la verificabilità delle mosse e delle intenzioni strategiche dei potenziali avversari. Con questo trattato esercitazioni militari massicce e basi militari potrebbero ad esempio essere sorvolate e osservate legalmente. Non va poi dimenticato che le negoziazioni intorno al trattato avvennero tra NATO e Patto di Varsavia, la logica sottostante era quindi quella di fugare sospetti relativi a nuove basi nucleari, dislocamento di missili con capacità nucleare e preparazione di massicce invasioni terrestri convenzionali.

In un’ottica di equilibri politici e dinamiche strategiche, l’accordo è risultato e continua ad essere utile per un duplice motivo. Da una parte ha un elevato valore simbolico, poiché aumenta trasparenza, verificabilità e quindi fiducia tra gli attori strategici globali, andando anche a parificare eventuali asimmetrie tecnologiche che avrebbero permesso ad uno Stato di raccogliere le stesse informazioni con tecnologie satellitari più all’avanguardia ma non possedute da tutti i Paesi parte. Dall’altra ha garantito agli Stati europei facenti parte della NATO di condurre legalmente e in sicurezza voli di ricognizione lungo le frontiere della Russia post-sovietica e dei Paesi ad essa alleati, diminuendo i propri sospetti rispetto alle mire strategiche russe verso ovest.

Un ruolo particolarmente significativo il Trattato lo avrebbe ad esempio ricoperto durante la crisi Ucraina del 2013/2014. Non solo, ma nei decenni nuovi Paesi, gravitanti nell’area di sicurezza filo-statunitense, vi hanno aderito: Bosnia-Erzegovina, Croazia, Estonia, Finlandia, Lituania, Lettonia, Slovenia e Svezia. Il successo in termini sia simbolici che pratici è evidente e confermato non solo dall’estensione della membership, ma anche dall’elevato numero di voli di ricognizione condotti tra 2002 e 2019, ben 1500.

Il ritiro, ha giustificato Pompeo, è dovuto a presunte “violazioni ripetute” del trattato perpetrate dalla Russia. Lo stesso copione adottato da Washington  per uscire dall’INF, viene quindi applicato ad Open Skies. Nel comunicato viene infatti affermato che il Cremlino avrebbe applicato “selettivamente” il testo di diritto internazionale, con un approccio che avrebbe “fatalmente minato l’intento stesso del Trattato, come misura di costruzione di fiducia reciproca”. Washington in altre parole accusa la Russia di aver reso un arma (weaponization) l’accordo, sfruttandolo per raccogliere dati in merito ad infrastrutture critiche americane ed europee da colpire con possibili attacchi  ad alta precisione convenzionali. Inoltre si legge, il Cremlino viene accusato di aver impedito il volo su un corridoio di 10 km lungo il confine russo meridionale con la Georgia, sopra l’Abkhazia e l’Ossezia meridionale, con il pretesto di sostenere la “falsa indipendenza” di questi territori che non solo gli Usa considerano occupati dalla Russia. Altre violazioni sarebbero il divieto imposto dal Cremlino al sorvolo dell’area sovrastante Kaliningrad, dove ora si pensa vi sarebbero missili a corto raggio nucleare. Ciliegina sulla torta, che a ottobre 2019 aveva fatto già paventare l’esito che oggi riportiamo, è invece il divieto russo a sorvolare una propria massiccia esercitazione militare, rivolto a Usa e Canada.

Volo congiunto Spagna-Bulgaria sulla Bosnia il 28 March 2007 (CC Osce)

La mossa conferma senza dubbio un trend chiaro della politica estera e di sicurezza americana recente: ripiegamento nazionalistico e unilaterale, ritiro dall’architettura multilaterale in generale e più specificatamente da quella che garantisce il mantenimento di un regime di sicurezza collettiva di controllo degli armamenti. Come avevano commentato sul Wall Street Journal alti funzionari e politici Usa impegnati nella Guerra Fredda nell’ottobre 2019: “Come in ogni trattato, dispute sull’implementazione sorgono… Ma i problemi possono essere risolti attraverso una diplomazia pragmatica e non con l’abbandono degli impegni presi con il trattato”. In altre parole, anche e soprattutto in caso di controversie, vista la posta in gioco, non sarebbe il caso di impuntarsi e abbandonare prematuramente il tavolo negoziale, quanto invece continuare a discutere, confrontarsi e fare diplomazia, ovvero risolvere le controversie.

Ad onore del vero Trump era già stato tacciato del contrario, eccessivo pragmatismo, per l’approccio amichevole e più che dialogante dimostrato con la Corea del Nord. Tuttavia dopo le famosissime strette di mano con il dittatore Kim Jong-un, la denuclearizzazione nordcoreana sembra essere passata in secondo piano. Poco pragmatici ed anzi pericolosi per la stabilità nucleare mondiale e la sicurezza globale sarebbero stati poi il ritiro dall’INF nel 2019 e l’assassinio del generale iraniano Souleimani nel gennaio 2020. Tutte scelte che hanno aumentato l’instabilità politica, oscurato il ruolo di leadership globale Usa e incrementato il rischio di proliferazione e uso di armi nucleari.

Insomma, Washington si sta comportando come un bambino particolarmente atletico, che alle prime difficoltà incontrate al campetto durante una partita di basket abbandona il gioco e la propria squadra facendo i capricci. Pompeo nella dichiarazione scrive infatti: “Capiamo che molti nostri alleati in Europa considerano ancora di valore il Trattato, e siamo grati per i loro feedback, ma se non fosse per questo, probabilmente ci saremmo già ritirati molto tempo fa”. Insomma, come dire che Washington si è stufato non solo dei falli avversari (russi) ma anche di provare ad evitare che si ripetano per il bene della propria squadra (la NATO) e l’interesse generale (la sicurezza collettiva globale). La mossa sembra infatti poter ulteriormente esacerbare le divisioni all’interno del Patto Atlantico. Come viene riportato da Euractive, gli entourage diplomatici europei sapevano che qualcosa stava bollendo in pentola, ma non è ancora chiaro se Washington avesse avvertito preventivamente della mossa i propri alleati. Così non solo la sostanza ma anche il modus operandi dell’Amministrazione Trump sarebbero stati fortemente criticati all’interno delle cancellerie europee.

Meeting a Vienna dei membri del Trattato (CC Osce)

E’ certo che gli alleati Europei anche questa volta non seguiranno Trump nella sua crociata solitaria contro il multilateralismo e la costruzione di una sicurezza collettiva. Il primo a esprimere “dispiacere” è stato il Ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas, al quale hanno fatto eco l’Alto Rappresentate Europeo per la Politica Estera e di Sicurezza comune dell’Ue Josep Borrell e una dichiarazione congiunta di Paesi europei alleati: Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Repubblica Ceca, Spagna e Svezia. Tutti hanno riconosciuto il fatto che Mosca abbia violato ripetutamente le disposizioni dell’accordo invitandola a tornare ad un’implementazione completa e più ligia. Tutti hanno però sottolineato l’importanza che questo accordo ricopre per la sicurezza collettiva in generale ed in particolare per la stabilità strategica nell’emisfero artico e il mantenimento della pace in Europa, sottolineando che continueranno ad onorare l’impegno assunto 18 anni fa. Il tedesco Maas ha anche rilanciato, assicurando che lavorerà “con i propri partner per spingere gli Usa a rivedere la decisione”.

D’altra parte il Cremlino sa benissimo che questa mossa statunitense va ad inserirsi nel più grande gioco del regime di controllo degli armamenti nucleari, che nel 2021 vedrà scadere anche l’Accordo New START, che se non dovesse essere rinnovato, vedrebbe per la prima volta da decenni Usa e Russia libere di sviluppare, ammassare e sventolarsi reciprocamente nuove testate nucleari. Così il viceministro degli esteri russo Alexander Grushko, responsabile per le relazioni con la NATO, ha messo le mani in avanti dichiarando: “Il ritiro US è un colpo alla sicurezza europea e agli interessi in materia degli alleati Usa”. Il Ministro ha quindi aggiunto “Nulla impedisce la continuazione delle discussioni sui dettagli tecnici che gli USA hanno presentato come violazioni russe”. Lo stesso Pompeo nel comunicato sottolinea ripetutamente, all’inizio ed alla fine che nel caso in cui “la Russia dovesse tornare ad un pieno rispetto, gli Usa potrebbero essere disposti a riconsiderare al propria decisione”.

In conclusione, come ha ben sintetizzato in un tweet il già Direttore della CIA Michael Hayden tutto “questo è insensato”. Infatti, non solo gli Usa e gli alleati europei della NATO sono sempre più divisi su fondamentali questioni strategiche, dinamica da decenni auspicata dalla Russia (chissà se Trump e Pompeo ci hanno riflettuto su questo), ma la leadership globale e la credibilità Usa sono sempre più minate dall’unilateralismo e disprezzo per il dialogo dimostrato dall’Amministrazione Trump. Una sola è quindi la certezza, oggi siamo tutti più insicuri di ieri e la pace così come il disarmo nucleare completo sembrano più che mai lontani. Siamo in una nuova Guerra Fredda?

Foto copertina: Creative Commons OSCE, A Ukrainian An-30B aircraft used under the Open Skies Treaty. 

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