di Andrea Cegna
A quasi tre mesi dalle elezioni presidenziali del 28 luglio la situazione in Venezuela è complessa e tesa. La contestata ri-elezione di Maduro ha mosso le opposizioni, di ogni tipo di colore e gradazione politica, a manifestare i “dubbi” sull’iter elettorale: dal Partito Comunista, ai movimenti di intellettuali e sociali fino alla destra più vicina a Milei e Trump si sollevano le grida di una frode elettorale. Da parte sua Maduro, e quella parte di Venezuela che ancora lo appoggia (di cui fa parte esercito e polizia) rivendica la vittoria e parla di tentativo di golpe e ingerenza straniera.
Un quadro complesso, fatto di violenza e repressione, e spesso paura di parlare. A questo scenario si aggiunge l’ultima Missione internazionale indipendente di accertamento dei fatti delle Nazioni Unite (ONU) che martedì 15 ottobre ha pubblicato un rapporto che documenta un aumento delle violazioni dei diritti umani e una repressione senza precedenti nel Paese sudamericano dopo le elezioni presidenziali del 28 luglio. In poche e pochi vogliono parlare ma tra chi ha deciso di farsi intervistare c’è Emiliano Teran Mantovani, Sociologo dell’Universidad Central de Venezuela (UCV), ricercatore e docente presso il Centro de Estudios para el Desarrollo (CENDES – UCV). Ecologista orientato alle lotte contro l’estrattivismo in Venezuela e in America Latina.
Ora che la Corte suprema ha confermato la vittoria di Maduro, le elezioni si possono dire chiuse?
ETM: Il Consiglio nazionale elettorale (CNE) non ha ancora mostrato i risultati disaggregati, non ha reso pubblici i verbali, non ha effettuato verifiche. A richiedere trasparenza sono stati la popolazione, i partiti politici, i governi del mondo, compresi i governi progressisti alleati di Maduro. Il CNE è un potere autonomo e aveva tutti gli strumenti per fornire tali dati. Il presunto hackeraggio non è stato provato, né sono state effettuate verifiche tecniche in merito, e in ogni caso avrebbe influenzato momentaneamente il processo di trasmissione dei risultati, ma non i risultati stessi. La Corte Suprema di Giustizia non avrebbe dovuto prende parola in questa situazione ed è totalmente priva di indipendenza.
D’altra parte, dal punto di vista istituzionale, è emersa l’assenza radicale e assoluta di tutti i quadri normativi e dei protocolli democratici. Il governo di Maduro aveva già instaurato un regime autoritario in precedenza, ma ora ha dato una svolta definitiva, distruggendo i resti di democrazia che ancora esistevano. I canali di negoziazione internazionali sono stati derisi e disprezzati. Tutte le carte del gioco politico sono ormai sul tavolo, scoperte. Il regime è nudo, e questo spiega la brutale repressione di Stato che si è scatenata contro ogni espressione di dissenso o libertà nella società.
La delegittimazione sociale del governo di Maduro generato dopo la frode elettorale ci lascia, a mio avviso, di fronte a un processo di insostenibilità che potrebbe aprire ad altri scenari. Oggi la prospettiva è quella della permanenza del regime perché Maduro controlla tutto, le risorse, le istituzioni, le forze armate e di sicurezza, lo Stato in generale. L’opposizione ha messo in campo una massiccia mobilitazione sociale, la partecipazione al voto e chiamato alla pressione internazionale. Ma in termini di rapporti di forza non c’è storia. La mobilitazione di piazza non ha avuto molte possibilità di proseguire perché la gente è esausta, perché il costo è molto alto per chi manifesta e, come ho già detto, la repressione è dura e brutale. Il regime di Maduro, sebbene straordinariamente messo in discussione e screditato a livello internazionale, continua a contare sull’appoggio geopolitico ed economico di Cina, Russia, Iran, Turchia.
Il risultato del PSUV è stato il più basso della sua storia nelle elezioni presidenziali: cosa significa, come e perché ha perso milioni di voti?
ETM: Il declino del PSUV è un processo che va avanti da anni. Vorrei citare sei fattori che hanno generato questo progressivo declino.
Il primo è la corruzione del governo. Si continua a sostenere che la situazione in Venezuela sia causata dalle sanzioni internazionali, che hanno avuto un impatto ma non spiegano l’origine della crisi visto che la debacle economica è iniziata nel 2014 e le sanzioni sono imposte dal 2017. Le sanzioni non sono il fattore più decisivo. Miliardi di dollari sono andati persi a causa della corruzione con casi che sono venuti alla luce pubblicamente.
Il secondo fattore è strettamente legato al primo: esiste una chiara incoerenza tra il discorso rivoluzionario e le pratiche delle élite della “rivoluzione”. Ai seguaci chavisti viene costantemente chiesto di fare sacrifici, di mobilitarsi quando il governo glielo chiede, di sopportare tutti i disagi della povertà. Però molte e molti lamentano che i membri dell’élite governativa possiedano appartamenti e case di lusso a Dubai o in Europa, SUV e auto sportive, partecipino a grandi feste e se ne vantino persino sui social network.
Terzo fattore è la svolta neoliberista. Ciò va in totale contraddizione con il recente passato. Il governo si è coordinato con la principale federazione imprenditoriale del Paese, Fedecámaras; ha abbassato i salari in modo programmato, il salario minimo è da due anni fermo a 4 dollari. Grandi agevolazioni ed esenzioni fiscali sono concesse agli investitori stranieri, mentre il lavoratore paga un’imposta sul valore aggiunto del 16%. Non esiste un sistema di protezione dei lavoratori, la sanità pubblica è stata abbandonata e sono in corso privatizzazioni di basso profilo.
Il quarto è la mancanza di risultati. La riforma economica del governo continua a lasciare un’enorme fetta di popolazione in condizioni di povertà, le disuguaglianze socio-economiche sono aumentate e, come ho già detto, la salute, l’accesso all’acqua e i servizi pubblici si sono degradati negli anni, il che spiega in parte perché la vita quotidiana delle persone è così difficile, così pesante.
Il quinto ha a che fare con la repressione e in generale con la situazione di maltrattamento della popolazione da parte del governo. I venezuelani oggi non hanno canali per sfogare tutta la frustrazione che provano, perché se protestano, vengono repressi e criminalizzati. Chi denuncia viene ignorato.
Che differenza vedi tra Maduro e Chávez?
ETM: Chávez è un militare, Maduro no, in un Paese dove il potere militare è determinante. Entrambi provengono dalle classi popolari. Chávez era un eccellente oratore e possedeva un grande carisma, Maduro no. Chávez ha incarnato un processo politico popolare, nato dal declino e dall’esaurimento del “Venezuela ricco di petrolio” che si generò con il Patto di Punto Fijo. Chavez è stato l’articolatore del malcontento sociale e ha rappresentato una speranza per milioni di persone. Maduro non l’ha fatto. Chávez era sviluppista e cavalcava l’onda del boom delle materie prime. Maduro ha governato la crisi di tale paradigma.
Chávez aveva una natura autoritaria e personalista e imponeva la fedeltà al leader al di sopra di tutto. Maduro parte da qui. Chávez ha creato uno Stato militarista corporativo; Maduro ha trasformato questo in dittatura. Con Chávez c’era una grande corruzione, con Maduro si è espansa. Maduro è stato messo lì da Chávez, cosa che non va mai dimenticata. Sebbene sono due personaggi diversi rappresentano la continuità dello stesso progetto politico.
L’estrattivismo in Venezuela è diverso da quello di altri Paesi dell’America Latina?
ETM: No e sì. Non è diverso, perché l’estrattivismo è la modalità di accumulazione del capitale e il modello economico e sociale che ha plasmato l’America Latina. C’è un modello condiviso nel continente che passa dall’espropriazione di risorse, terre e territori di numerose comunità e nazionalità, dalla devastazione degli ecosistemi e possiamo dire che è la continuazione della colonizzazione, con tutte le caratteristiche del XXI secolo.
Se l’Amazzonia ecuadoriana è stata devastata per garantire l’estrazione di enormi quantità di petrolio, con conseguente distruzione delle comunità indigene, lo stesso è accaduto in Brasile nella baia di Guanabara e sull’isola di Maré. Estrazioni massiccie di petrolio sono state organizzate negli ultimi anni in Perù e in Colombia. La distruzione socio-ambientale causata dalle attività petrolifere si vede attorno al lago di Maracaibo e nella penisola di Paraguaná in Venezuela. Migliaia di comunità di pescatori in tutta l’America Latina, ad esempio, risentono di tali devastazioni. E’ uno schema che si ripete indipendentemente dal tipo di governo, sia esso di destra o di sinistra, anche se ci sono certamente governi più responsabili di altri. In Venezuela abbiamo per decenni, sotto le destre, l’estrazione di petrolio ha determinato distruzione ambientale e quando è iniziato il processo bolivariano, la devastazione è continuata, e in altri casi si è aggravata.
In che modo l’estrattivismo è diverso in Venezuela? Forse per il modello predatorio che è sviluppato che è il prodotto di un governo autoritario indifferente ai diritti umani e ambientali così come, aggiungerei, delle sanzioni internazionali che contribuiscono a peggiorare la situazione. Torniamo all’Amazzonia, gli studi della Rete Amazzonica di Informazioni Socio-Ambientali Geo-referenziate (RAISG) hanno indicato che, sebbene l’estrazione illegale si stia espandendo in tutta l’Amazzonia, il Venezuela è il Paese con il maggior numero di siti estrattivi dell’intera bioregione, pur avendo solo il 5,6% della sua superficie.
In Perù la magistratura ha recentemente emesso una sentenza che blocca il controverso progetto minerario Conga; in Ecuador, la chiusura dei pozzi petroliferi sta andando avanti a seguito di una consultazione popolare che ne ha imposto il blocco nella zona Amazzonica; a Panama, la Corte Suprema di Giustizia ha dichiarato incostituzionale un progetto di estrazione di rame. In Venezuela non possiamo nemmeno contare sul fatto che qualcosa del genere accada. Non c’è giustizia, non ci sono istituzioni, non ci sono diritti. È puro potere patrimoniale. Le dittature possono rendere l’estrattivismo più predatorio e corrotto.
Descrivi in 10 parole cos’è oggi il Venezuela
ETM: Paese sequestrato dalla peggiore classe politica della nostra storia. Ecco 10 parole, anche se sarebbe incompleto se non dicessimo che in Venezuela c’è anche un popolo che resiste con dignità.