di Gianna Pontecorboli da New York
In un agosto che già si preannuncia teso e controverso nella sede a New York della Nazioni Unite, un nuovo e complesso conflitto rischia ora di arrivare sul tavolo semicircolare del Consiglio di Sicurezza , accanto al Medio Oriente, all’Ucraina e al Sudan. Alla Grande Diga della Rinascita Etiope, il GERD, e alle tensioni che da oltre un decennio la diga sta creando nel Corno d’Africa, ben pochi hanno prestato fino ad oggi attenzione al di fuori del mondo della diplomazia africana. La questione della enorme infrastruttura che l’Etiopia ha costruito sul Nilo Azzurro e delle fratture che questa ha creato non solo con l’Egitto e il Sudan ma per l’intero Corno d’Africa potrebbe invece ora offrire una nuova occasione di scontro all’interno di un Consiglio di Sicurezza gia’ paralizzato.
In una durissima lettera indirizzata alla presidenza di turno del Consiglio, la Slovenia, e firmata del ministro degli Esteri egiziano Badr Abdelatty, l’Egitto ha infatti chiesto l’intervento diretto dei quindici membri seduti al tavolo semicircolare per fermare il riempimento del bacino artificiale della diga annunciato dall’Etiopia a fine agosto. Nella lettera, il diplomatico egiziano ha descritto le ultime mosse dell’Etiopia come ”una minaccia esistenziale per l’Egitto” e ha chiesto un intervento diretto del più importante organo dell’Onu per fermare una iniziativa considerata illegale e unilaterale.
”L’Egitto rifiuta categoricamente le azioni unilaterali dell’Etiopia che violano le regole e i principi del diritto internazionale”, ha scritto il diplomatico egiziano. ”Siamo pronti a esercitare il nostro diritto di difendere e proteggere i diritti della popolazione egiziana in accordo con la carta dell’Onu”.
La storia, in realtà, non è nuova e ha avuto inizio già nel lontano 2011, quando l’Etiopia ha dato il via a un progetto particolarmente ambizioso e destinato, nelle intenzioni, a regalare a un paese che ne ha estremamente bisogno l’acqua necessaria alla sua popolazione e alla sua agricoltura e soprattutto l’energia elettrica preziosa per rivitalizzare la sua fragile economia. Nel corso degli anni l’infrastruttura, costata 4,5 miliardi di dollari, si è ampliata e perfezionata fino a diventare la più grande diga africana e già lo scorso anno sono iniziati i primi riempimenti del suo bacino artificiale. Da sempre contrario a un progetto che mette seriamente in crisi un Paese che proprio dal Nilo ricava il 97 per cento delle sue risorse idriche, il governo egiziano si à opposto da subito, insieme al Sudan, all’ambiziosa iniziativa etiopica. I tentativi di mediazione fatti in questi anni con l’aiuto dell’Unione Africana e dei mediatori locali dell’Onu, però, non sono arrivati a nulla e il 25 di agosto il premier etiope Abiy Ahmed ha annunciato nuovi riempimenti e mostrato con orgoglio con delle immagini pubblicate su X l’apertura di alcuni nuovi scarichi destinati a rilasciare nel bacino migliaia di metri cubi d’acqua al secondo. Per il Cairo, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Il capitolo Somaliland
”Nonostante l’aumento delle inondazioni del Nilo negli ultimi anni, che hanno relativamente protetto l’Egitto, la continuazione delle mosse dell’Etiopia potrebbe costituire una minaccia esistenziale per l’Egitto come per i diritti e gli interessi di 150 milioni di cittadini, e metterebbe a rischio la pace e la sicurezza internazionali” , ha scritto Abdelatty,”Per questo chiediamo al Consiglio di Sicurezza di assumersi le sue responsabilità in base all’articolo 24 della carta dell’Onu’.
A rendere la questione della diga ancor più incandescente, inoltre, ci sono anche le mosse di avvicinamento dell’Egitto alla Somalia dopo la decisione presa a gennaio dall’Etiopia di affittare, per costruire un nuovo porto, 20 chilometri di costa nel Somaliland, la regione che si è staccata dalla Somalia e che l’Onu non riconosce come uno Stato indipendente. In cambio, l’Etiopia si sarebbe impegnata a riconoscere l’indipendenza della regione ribelle. In risposta a queste mosse, il Cairo ha cominciato nelle ultime settimane a inviare truppe, forniture militari e forze speciali in Somalia, ufficialmente nell’ambito dell’accordo di cooperazione militare creato dai membri della Lega Araba, e ha anche annunciato l’intenzione di unirsi l’anno prossimo alla forza di pace per la Somalia creata dall’Unione Africana.
Martedi scorso, nel corso della sua conferenza stampa, l’ambasciatore sloveno Samuel Zbogar, Presidente di turno del Consiglio di Sicurezza per il mese di settembre, ha affrontato la questione con cautela e ha osservato che, fino ad ora, è stata sempre trattata a livello regionale. Anche per lui, ha però lasciato capire, resta la prospettiva di dover chiedere a un Consiglio di Sicurezza già spaccato di muoversi per risolvere un nuovo e drammatico conflitto.
In copertina il CdS al Palazzo di Vetro. Nel testo il bacino della discordia