Virus balcanico

il Coronavirus sta seminando tempesta anche nei Paesi al di là del Mediterraneo

di Raffaele Crocco

Non se ne parla molto, ma funziona come nel resto d’Europa e del Mondo: il Coronavirus sta seminando tempesta anche in quelli che chiamiamo Balcani. Giornali e mass media parlano poco di ciò che accade ad est di Trieste, ma la Pandemia crea problemi, disagi e mette spesso in discussione – non solo nell’ormai nota Ungheria – le fragili strutture democratiche dei Paesi.

I dati, vediamoli, anche se per approssimazione. Alla metà di aprile, un totale di 17.248 casi positivi e 626 decessi erano stati confermati in Slovenia, Croazia, Bulgaria, Romania e nei Paesi dei Balcani occidentali , cioè Serbia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Kosovo, Macedonia del Nord, Albania. Numeri importanti, soprattutto per Paesi che hanno –spesso – sistemi sanitari non all’altezza. Ma cosa accade realmente? Cosa sta succedendo? Facciamo un rapidissimo viaggio in alcune di quelle terre.

In Bosnia Erzegovina la reazione all’epidemia è stata proclamare lo stato d’emergenza e il coprifuoco. Inevitabili, sono riaffiorati i ricordi della guerra, dell’assedio di Sarajevo e Mostar. Inoltre, si sono fatti da subito i conti con un sistema sanitario che non è in grado di reggere. Poche le terapie intensive e pochi anche i posti letto. Inoltre, a guidare la lotta al Covid-19 sono due persone altamente compromesse agli occhi dell’opinione pubblica. Si tratta del ministro della Sicurezza Fahrudin Radončić,  coinvolto in vari scandali e della direttrice del Centro clinico di Sarajevo, e di Sebija Izetbegović, che ha ottenuto l’incarico grazie ad un concorso pubblico truccato.

Vucic con mascherina

Anche la Serbia ha proclamato lo stato di emergenza il 15 marzo. Due settimane prima, era stato individuato il paziente zero. E’ stato creato un comitato di esperti, che quotidianamente informa la popolazione sullo stato dell’epidemia. Popolazione che, per altro, appare divisa fra la paura per il virus e il terrore del restare senza cibo: l’acquisto è reso difficile proprio dalle restrizioni imposte dal Governo. Pochi sembrano così accorgersi che il medesimo Governo ha violato altre procedure, non meno importanti, agendo in modo non conforme alle leggi e alla costituzione. Ad esempio: la legge prevede che solo il Parlamento serbo possa approvare l’introduzione dello stato di emergenza. Il presidente Vucic ha ignorato la cosa e l’ha introdotto alla sola presenza del primo ministro Brnabić e della presidente del parlamento Maja Gojković. Il tutto in un Paese in cui, in piena campagna elettorale – il voto era previsto il 26 aprile – un medico ha pubblicamente dichiarato che il Covid-19 è il virus più ridicolo della storia umana e lo steso presidente Vucic aveva invitato i serbi ad andare a Milano a fare shopping.

Il piccolo Kosovo, da parte sua, ha introdotto restrizioni rigide, sapendo che il sistema sanitario vacilla. L’Albania e la Macedonia del Nord hanno rispettivamente – sempre al 15 aprile – 475 e 854 contagiati. Affrontano la pandemia in un momento bizzarro, cioè mentre l’Unione Europea ha finalmente deciso di accettare l’ingresso dei due Paesi nell’Unione. I negoziati sono ufficialmente aperti, manca solo la data d’inizio. Skopje era candidata all’adesione dal 2005, Tirana dal 2014.

Salendo a Nord, la Croazia affronta l’epidemia scontando gli effetti del terremoto che lo scorso 23 marzo ha colpito Zagabria e dintorni. Il numero dei contagiati sale rapidamente, sono 1.650 alla metà di aprile 2020. A preoccupare sono anche le questioni economiche: è la terza grande crisi negli ultimi 30 anni, dopo il disastro delle guerre di indipendenza della metà degli anni ‘90 e la “grande recessione” internazionale del 2008. Ora è parte dell’Unione Europea, ma non è detto che questo sia un vantaggio. Il governo ha già deliberato un pacchetto di 63 misure economiche, per un valore di 30 miliardi di kune (circa 4 miliardi di euro), per sostenere imprese e cittadini.

Infine la Slovenia, che registra nello stesso periodo circa 1.300 contagi. Qui l’epidemia ha fatto cadere il governo. La fragile alleanza fra centrosinistra e marxisti è crollata, riportando al governo Jansa, uomo forte, di centrodestra. E’ stato accolto da molti come un salvatore in grado di adottare decisioni rapide. Lo aveva già dimostrato – dicono – nelle giornate difficili della “guerra” d’indipendenza, nel 1991. Per i detrattori, invece, è solo tornato al potere il “principe delle tenebre”. Quelle che è certo, è che è alleato di Orban, l’uomo che sta uccidendo la fragilissima democrazia ungherese: non è un grande biglietto da visita.

#IoRestoaCasa

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