Vivere in guerra

La quotidianità di Artyom e Mikola che li obbliga a fabbricare armi micidiali. Due soldati dell’esercito ucraino aggregati al 40° Battaglione in un fotoreportage dal fronte

di Emanuele Bussa

Foto di Edoardo Marangon

Il piccolo magazzino di mattoni si trova nella parte posteriore del cortile che circonda la dacia, tipica casa estiva ucraina. L’entrata è nascosta dall’edificio principale e le finestre sono coperte da teli e coperte che lasciano entrare flebili raggi di luce. Artyom e Mikola, due soldati dell’esercito ucraino aggregati al 40° Battaglione separato, sono arrivati qui all’inizio di aprile, stabilendosi nell’abitazione donata all’esercito dai suoi precedenti proprietari. Passano la maggior parte delle loro giornate all’interno del magazzino sul retro che hanno trasformato in un laboratorio dove costruiscono di bombe e ordigni con cui equipaggiare i droni in dotazione alle forze armate.

La dacia si trova in un villaggio a pochi kilometri da Chasiv Yar, nella regione del Donbass. Da aprile 2024, la città, ormai ridotta a un cumulo di macerie dai continui bombardamenti, è diventata l’obiettivo principale delle truppe russe, in quanto la sua conquista, aprirebbe loro la strada verso Kramatorsk il più grande centro abitato, ancora sotto il controllo ucraino nella regione di Donetsk. L’esercito ucraino ha quindi trasferito nuove forze nell’area intorno alla città, prelevandole da altre zone del fronte, con il fine di rinforzare le sue posizioni difensive e resistere ai continui attacchi lanciati dai russi.

Mikola sta lavorando vicino a un tavolo posizionato al centro della stanza e illuminato da una lampadina che penzola dal soffitto. Lungo le pareti sono accatastati scatoloni e casse contenenti munizionamenti e attrezzature di vario genere. Sta maneggiando dell’esplosivo al plastico per poi inserirlo all’interno di contenitori di plastica. L’ingresso di due giornalisti non sembra disturbarlo, così come gli scatti della macchina fotografica. Senza smettere di modellare l’esplosivo al plastico che tiene tra le mani, inizia a spiegare a cosa sta lavorando, indicando i vari componenti sparsi sul tavolo.

«Si tratta di un ordigno anti-uomo. Posiziono l’esplosivo all’interno della sezione centrale di un cilindro di plastica, quindi inserisco biglie di acciaio nei comparti laterali e aggiungo l’innesco. Una volta pressato l’esplosivo e chiuso il contenitore, fisso delle alette di plastica con delle fascette per dare all’ordigno maggiore stabilità durante il volo, una volta sganciato». Artyom si trova nella stanza adiacente, sta smontando munizioni e granate per recuperare biglie di acciaio di diverse dimensioni necessarie per la costruzione di altre munizioni esplosive. I bossoli vuoti vengono poi modificati e riutilizzati per la costruzione di altri tipi di bombe. L’esplosivo al plastico viene invece estratto da vecchie mine anticarro. «Riusciamo a produrre circa cinquanta ordigni ogni giorno. Si tratta di un lavoro molto difficile che nessuno ci ha insegnato. Abbiamo dovuto fare tutto da soli»

Mikola e Artyom non hanno seguito nessun addestramento specifico. Hanno imparato i rudimenti guardando video caricati online e, continuando a sperimentare, hanno acquisito le competenze necessarie per fabbricare ordigni utilizzabili da tutti i droni in dotazione alle forze armate ucraine. Artyom porge a Mikola un’altra bomba simile a un piccolo missile. «Si tratta di un ordigno anticarro. La parte centrale viene riempita di esplosivo al plastico mentre nella parte inferiore è inserita una punta di metallo» – spiega Mikola – «Al momento dell’esplosione, il calore sprigionato trasforma la punta in una scheggia incandescente, capace di perforare anche la corazza di un carro armato, soprattutto nella parte superiore della torretta, dove è più vulnerabile».

I componenti necessari per la realizzazione degli ordigni vengono continuamente forniti dall’esercito ucraino. I droni sono infatti diventati uno strumento fondamentale per fornire supporto alle truppe di terra. Le squadre di operatori, posizionati a pochi chilometri dalla prima linea, hanno sempre bisogno di nuove munizioni per armare i propri droni, che vengono impiegati con compiti di ricognizione e per colpire obiettivi specifici. «Non sempre dobbiamo costruire bombe e munizioni da zero. A volte ci limitiamo a modificare granate e proiettili anticarro, adattandoli in modo che possano essere sganciati dai droni» continua Mikola riponendo un altro ordigno finito nella cassetta ai piedi del tavolo, piena delle sue creazioni. Ogni bomba è separata da quella adiacente con uno spesso foglio di cartone rigido. Gli ordigni sono infatti dotati di un detonatore ad impatto. Un urto particolarmente forte durante il trasporto potrebbe causare l’esplosione di una o più munizioni.

I soldati come Mikola e Artyom sono considerati elementi preziosi e difficilmente rimpiazzabili. Per questo motivo gli ufficiali cercano di proteggerli quanto più possibile. «A meno di emergenze, non veniamo quasi mai impiegati al fronte. Nel nostro reparto siamo tra i pochi in grado di svolgere questo lavoro. Ogni soldato è chiamato a dare il proprio contributo. In questo momento noi siamo più utili qui che sulla linea zero».

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