Yemen: “la tempesta perfetta”.

Mentre l'ultima tregua sembra aver fallito e 31 dei 41 progetti umanitari Onu sono a rischio, Covid-19 è giunto nel Paese: che impatto avrà su popolazione e  conflitto?

di Elia Gerola

Il 9 aprile 2020 il conflitto yemenita è entrato in una fase di cessate il fuoco della durata di due settimane, il 10 aprile è invece stato certificato il primo caso di Covid-19 nello Stato, registrato nella provincia meridionale di Hadharmaut, nel porto di Ash Shihr. La tregua è però stata più formale che fattuale. Promossa unilateralmente dalla coalizione guidata dall’Arabia Saudita, che appoggia il Governo ufficiale yemenita, è stata formalmente accolta anche dai ribelli Houthi, sostenuti dall’Iran, dopo che il 23 marzo, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Guterres, aveva invocato un cessate il fuoco globale al fine di permettere di affrontare e gestire al meglio l’attuale pandemia anche nei fragilissimi contesti di guerra ancora attivi.

“Lo Yemen non è in grado di sostenere due fronti allo stesso tempo: una guerra e una pandemia”, ha confermato davanti ai membri del Consiglio di Sicurezza Onu  di giovedì 16 aprile l’inviato speciale Griffiths. “L’arrivo di Covid-19 minaccia di portare più profonde e diffuse sofferenze alla popolazione. Non ci può essere un momento più adeguato per entrambe le parti in causa per impegnarsi nel mettere a tacere le pistole e concludere il conflitto” ha chiosato. Che la guerra nello Yemen sia sempre stata insostenibile per la popolazione civile non è però una novità: l’80% della popolazione dipende ormai dagli aiuti umanitari delle agenzie specializzate Onu e delle oltre 40 Ong internazionali presenti in loco, che garantiscono livelli minimi di nutrizione e assistenza sanitaria.

Nonostante l’enorme sforzo internazionale infatti, come riporta l’Unhcr, gli yemeniti che necessitano aiuto sono più di 24 mln su una popolazione totale di 30 mln di individui; non solo ma 3,65 mln sono sfollati, ospitati quindi in strutture temporanee o in campi profughi. Come ha inoltre scritto in un recente dispaccio la coordinatrice umanitaria Onu Lisa Grande, “…le persone nel Paese hanno probabilmente i livelli più bassi di immunità e più elevati di vulnerabilità del mondo”. I dati a questo proposito sono impietosi: vi sono 20 milioni in uno stato di malnutrizione e 1,5 mln di bambini sono affetti da forme acute di questa condizione, denuncia Intersos. A questo si aggiunge un altro effetto della guerra, la coda della terza ondata dell’epidemia di colera che dall’inizio del conflitto ha colpito almeno 2,3 mln di persone causando quasi 4 mila morti e che nel solo mese di gennaio – secondo l’Oms – avrebbe colpito circa 35 mila nuove persone, destinate però ad aumentare con l’arrivo della stagione piovosa.

La comorbidità ed un basso livello di salute generale in caso di infezione da Nuovo Coronavirus sono fattori aggravanti il decorso della malattia infettiva che sta paralizzando persino gli Stati occidentali più  avanzati. Ecco perché Grande ha sottolineato che nello Yemen, “le persone che si infettano hanno la probabilità più elevata rispetto a qualsiasi altro luogo sul Pianeta, di sviluppare una prognosi severa da Covid-19”, concludendo che: “Questa è una delle sfide più grandi degli ultimi 100 anni per lo Yemen”. D’altronde l’Onu ripete ormai incessantemente che il Paese è attanagliato dalla crisi umanitaria più grave della storia recente.

Dopo quasi 100mila morti dei quali almeno 12mila civili, come riporta l’osservatorio indipendente sulla violenza politica ACLED, alla vigilia del sesto anno di guerra però, persino con la tregua, l’intensità del conflitto non accenna a scemare. Le ultime settimane sono infatti state caratterizzate da accuse reciproche di violazioni degli attori locali. Da un parte gli Houthi hanno accusato la coalizione avversaria di aver compiuto 25 bombardamenti aerei nella mattinata di martedì 14 aprile e di altre 85 violazioni tra 17 e 18 aprile. Dall’altra i ribelli sono stati accusati a loro volta di almeno 241 violazioni tra 13 e 14 aprile, culminate nel weekend con la cattura e poi liberazione di un ex Ministro della fazione avversa.

Come viene amaramente rilevato da vari analisti, il gioco realista a somma zero, nel quale a contare sono l’incremento di credibilità e di potere strategici relativi tra le parti del conflitto, sembra stare prevalendo e impedire l’imbocco di una pacificazione decisa. La speranza dell’Onu e delle organizzazioni umanitarie è però che il nemico comune, Covid-19 e la tregua siglata, possano fungere da fattori di “confidence building”, ovvero permettere lo sviluppo di maggiori fiducia e dialogo. Anche se la tregua dovesse essere rispettata, Covid-19 pone però due importanti questioni: quella di prevenire un’epidemia con un sistema sanitario in ginocchio ed uno stato diviso in due; e quella della possibile strumentalizzazione della gestione stessa della malattia a fini politico-strategici dalle due parti avverse. 

20 milioni di yemeniti mancano di adeguato accesso all’assistenza sanitaria, riporta The Lancet, mentre l’Ong Physicians for Human Rights ha denunciato in un lungo e drammatico rapporto che i cosiddetti “incidenti” ai danni degli operatori sanitari, (per molti osservatori veri e propri crimini di guerra), sarebbero stati più di 120 tra il 2015 e il 2018. Dopo 5 anni di guerra la sanità è quindi devastata: solo la metà delle infrastrutture sanitarie sono operative e vi sarebbero solo 10 operatori sanitari ogni 10mila persone. L’incapacità tecnico-infrastrutturale e l’impossibilità per ragioni di sicurezza di svilupparla in loco, hanno portato nel febbraio 2020 l’Oms ad organizzare ponti aerei sanitari finalizzati al trasporto in ospedali esteri dei malati più gravi. Nonostante ciò, il Norwegian Refugee Council ha evidenziato che almeno 32mila persone siano morte in attesa del trasporto. I problemi ancora una volta sono stati logistici e di coordinamento tra le parti del conflitto.

Non solo la situazione sanitaria è tragica, ma l’arrivo di Covid-19 rischia di essere strumentalizzato. Come infatti osserva l’analista della Carnegie Endowment for international Peace Ahmed Nagi, il rischio più grande è quello di una politicizzazione dell’epidemia, ovvero del suo utilizzo a fini politico-strategici per influenzare le sorti della guerra. Da una parte sia i ribelli Houthi che il governo appoggiato dalla coalizione guidata dall’Arabia Saudita sono scarsamente trasparenti. Per Nagi stanno/faranno di tutto per nascondere i dati relativi ai casi effettivi di Covid-19, al fine di mostrare di essere capaci di gestire un’emergenza sanitaria ed accreditarsi non solo come combattenti ma anche governanti capaci. Misure di dubbia efficacia come sanificazioni nelle strade e raccomandazioni di distanziamento sociale sono infatti state adottate, ma sono di dubbia qualità ed effettività.

Ad esempio viene osservato come molti yemeniti siano rientrati recentemente da Cina e Egitto, e non siano stati né testati, né messi in quarantena preventiva. Ancora, il governo di Aden viene accusato di non aver delineato un convincente piano di gestione dell’emergenza, nonostante il Ministro della Sanità Pubblica e della Popolazione abbia dichiarato che squadre di risposta rapida sono al lavoro per attuare tracciamenti sociali e contenere Covid-19 sin dal rilevamento del primo caso.

Dall’altra vengono rilevate altre due tendenze utilitaristiche: reclutamento e finanziamento. Da una parte i ribelli houthi starebbero infatti sfruttando la situazione per reclutare nuovi combattenti. Adattando la propria propaganda in funzione di Covid-19, hanno rilasciato dichiarazioni televisive affermando che “è meglio morire come un martire in eroiche battaglie, anziché morire a casa di coronavirus” suggerendo quindi che “essere in un campo di battaglia è più sicuro che rimanere in città sovraffollate”. Dall’altra entrambi i fronti stanno impiegando la pandemia come un pretesto per fare cassa e portare avanti i propri interessi politico-militari. Ad esempio in certi casi i civili vengono costretti a pagare esosi pedaggi per passare da una zona all’altra dei territori controllati.

Come sottolineato da Human Rights Watch la situazione si configura come una “tempesta perfetta”, cionondimeno Covid-19 potrebbe veramente rivelarsi un game changer per l’evoluzione del conflitto yemenita, come osserva in un’analisi Holly Topham, co-autrice del periodico The Yemen Review. L’esperta di sicurezza ha infatti spiegato che il rischio è quello di un’ulteriore frammentazione del conflitto. L’Arabia Saudita, come gran parte della coalizione internazionale sunnita da lei capitanata, starebbe mostrando insofferenza nei confronti del conflitto: lungo, dispendioso e non certo in cima alle priorità nazionali vista la Pandemia e il crollo dei prezzi del petrolio da essa acuito.

Se quindi Sudan e Emirati Arabi Uniti avevano già fortemente diminuito la propria presenza militare in termini di truppe messe a disposizione sul campo, l’Arabia Saudita, propositrice della tregua recente, potrebbe decidere di cogliere questa finestra ed uscire dal conflitto. Come viene infatti rilevato gli Houthi si stanno rafforzando nelle province nord-occidentali controllate, a partire dalla città portuale di Sana, avanzando verso l’ultima roccaforte del governo centrale nel Nord, Marib, ormai quasi sotto assedio. La prospettiva per alcuni sarebbe quindi quella di un accordo tra Arabia Saudita e Houthi che tuteli i confini meridionali del primo stato ed in qualche modo conferisca ai ribelli la legittimità che vanno cercando da anni.

E’ però difficile che il governo sunnita yemenita accetti una pacificazione e quindi la guerra prosegua con l’aumento dei gruppi sunniti eterodiretti dall’estero. Proprio la narrazione impiegata per raccontare le misure prese per contrastare Covid-19 è invece segno del fatto che gli Houthi vorrebbero accreditarsi come qualcosa di più, di semplici combattenti ribelli. Stanno ad esempio gestendo molti aiuti umanitari provenienti dall’estero e scaricati a Sana, anche se vi sono accuse di impiego a fini militari e distribuzione selettiva e non uniforme a tutta la popolazione civile che ne dovrebbe essere destinataria.

Se la de-escalation sembra lontana e le certezze sulla diffusione comunitaria di Covid-19 sono poche, una è la certezza, ancora una volta quindi sono i 30 mln di civili yemeniti a rimetterci. Sopravvissuti a 5 anni di “armi, acciaio e malattie”, per citare l’antropologo americano Jared Diamond, ora rischiano di rimanere anche privi di effettiva assistenza sanitaria. I finanziamenti internazionali stanno infatti cominciando cominciando a scarseggiare al punto che l’Onu ha recentemente annunciato che nei prossimi mesi dovrà chiudere, o quanto meno ridimensionare, ben 31 sui 41 progetti di assistenza umanitaria, dai quali dipende però l’80% della popolazione.

In copertina: foto di Joshua Gresham on Unsplash

#NoiRestiamoaCasa

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