Zambia: salvato dai ragazzini?

Con un debole sistema sanitario e povertà diffusa, è "l'immunità allenata" la miglior difesa della popolazione contro Covid-19.

di Raffaella Recchia (Ex Casco Bianco APGXXIII in Zambia)*

Mentre l’Europa si sta affacciando a un’apparente fase di decrescita dell’impatto del Corona virus, la London School of Hygiene and Tropical Medicine prevede che in Zambia la pandemia toccherà il suo picco nel mese di luglio. Se il virus si dovesse abbattere qui con la stessa forza che abbiamo conosciuto in altri Paesi, gli effetti sulla popolazione, sull’economia e sul sistema sanitario sarebbero devastanti, considerato che in tutta la nazione i posti di terapia intensiva sono solo 45.

Già prima dello scoppio della pandemia, l’intero apparato sociale ed economico era instabile e precario. Lo Zambia è uno dei paesi più poveri del continente africano, con un tasso di malnutrizione del 50% e di disoccupazione pari al 13%. Negli ultimi 20 anni il valore del Kwacha, la moneta locale, ha subito una graduale svalutazione (si pensi che nel 2000 un euro equivaleva a 3 kwacha, oggi, invece, equivale a circa 19 kwacha zambiani) e in maniera inversamente proporzionale è aumentato il costo della farina di mais bianco, alimento base in tutta la nazione. Inoltre, da quasi 3 anni l’elettricità viene razionata e il paese subisce blackout fino a 14 ore al giorno che rendono pressappoco impossibile sostenere qualsiasi tipo di impresa commerciale o produttiva. Alla luce di questa situazione multifattoriale è stato dichiarato nel 2019 lo stato di emergenza che ha portato la FAO a destinare fondi alimentari per contrastare la crisi e andare incontro ai 2 milioni di zambiani che rischiano di morire di fame. La maggior parte di loro vive nei cosiddetti shanty compound, aree periurbane che sorgono attorno alle grandi città. Qui la gente si affolla in abitazioni costruite con mattoni di fango e tetti in lamiera, che contano due o tre vani e ospitano fino a 15 persone. Non vi sono servizi igienici in casa, non vi è elettricità né acqua corrente, che viene attinta giornalmente dai pozzi artesiani o dalle fontane.

In un tale contesto risulta presto difficile pensare al rispetto delle norme di distanziamento sociale, di igiene e di prevenzione. Queste misure restrittive sono scattate il 26 marzo a seguito di tamponi effettuati in aeroporto e risultati positivi: i primi due casi sono stati riscontrati il 18 marzo e il terzo il 22, tutti arrivati in aereo dopo un soggiorno all’estero, rispettivamente in Francia e in Pakistan. In pochi giorni il numero dei contagiati è salito a 12, così il presidente Edgar Lungu ha ordinato la chiusura di scuole, università e uffici pubblici, vietato assembramenti e chiuso gli aeroporti, fatta eccezione per quello della capitale Lusaka.

Al 7 luglio i casi di contagio sono poco più di 1.600 con oltre 1.300 guariti e 30 decessi. Come mai lo Zambia – e l’Africa in generale – è stato colpito dalla pandemia in una maniera così lieve rispetto ad alcuni stati europei e americani? Sono molti gli esperti che si sono adoperati per trovare una risposta al quesito che tutti si stanno ponendo, ma le ragioni di questo fenomeno restano ancora poco chiare.

Per far fronte all’epidemia l’OMS ha fornito risorse e formazione agli stati africani colpiti, ma alla luce dell’esperienza diretta di operatori di cooperazione, i tamponi effettuati potrebbero esser stati insufficienti. Infatti nell’occasione di una visita medica in un centro di tutela per minori, solo 15 dei 38 bambini e ragazzi presenti sono stati sottoposti a tampone, poiché durante la visita del funzionario sanitario incaricato dal Ministero della Salute zambiano il numero di tamponi risultava essere inadeguato.

A giocare un ruolo fondamentale nel contenimento dei contagi è stata la tempestività con cui le misure restrittive sono state messe in atto, secondo il Dott. Whitworth della London School of Hygiene and Tropical Medicine. Ma tra tutte, l’ipotesi condivisa dal maggior numero di esperti è quella relativa all’età media nazionale: secondo l’Unicef il 53,4% della popolazione zambiana ha un’età al di sotto dei 18 anni, fattore che sembrerebbe costituire un primo scudo contro il virus in assenza di altre patologie.

Il Prof. Vittorio Colizzi dell’Università di Tor Vergata, immunologo e presidente del Centro Relazioni con l’Africa della Società Geografica Italiana, ha parlato di trained immunity, ovvero un’immunità scaturita dalla continua esposizione ad agenti patogeni sin dalla tenera età, fattore comune alla popolazione di quasi tutti i paesi del continente nero, che avrebbe reso gli africani più forti da un punto di vista immunologico. Il 22 maggio, quando i casi erano saliti a 577, erano stati effettuati 20 mila tamponi in tutto il Paese. Ma in uno stato dove il 60% della popolazione non è iscritto all’anagrafe, come si contano le morti?

*Questo articolo è parte di una collaborazione didattico-giornalistica tra Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo e l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII. Gli autori sono giovani tra i 18 e i 28 anni che hanno svolto servizio civile all’estero come Caschi Bianchi nei progetti promossi dall’Ufficio Obiezione di Coscienza e Pace di APGXXIII. (Più info nei link evidenziati)

In copertina. Foto scattata nello Zambia e fornita da APGXIII.

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