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Dalla campagna alla città: il mondo che diventa urbano

Migrare dalle aree rurali alle città non è un fenomeno del passato, legato all’industrializzazione che nell’Ottocento interessò gran parte dell’Europa e degli Stati Uniti.

L’urbanizzazione e il relativo esodo dalla campagne alle città sono un tema più che attuale e si debbono inserire a pieno titolo nell’analisi delle migrazioni che l’Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo ha sviluppato in questi anni.

Come sempre occorre partire da alcuni dati. Secondo il rapporto della Fao “The state of food and agriculture 2017”(Lo stato del cibo e dell’agricoltura) nel 1960, il 22% della popolazione dei Paesi in via di sviluppo (460 milioni di persone) viveva in città piccole e grandi. Nel 2015 si era raggiunto il 49% della popolazione complessiva. In termini numerici, data l’esplosione demografica in quei 45 anni, si arrivava all cifra di 3 miliardi di individui.

La popolazione rurale del mondo nelle aree in via di sviluppo è cresciuta di 1,5 miliardi tra il 1960 (1,6 miliardi di persone) e il 2015 (3,1 miliardi). In Asia meridionale e nell’Africa sub-sahariana, una media compresa tra 1 milione e 2,2 milioni di giovani, rispettivamente, è entrata nel mercato del lavoro ogni anno tra il 2010 e il 2015.

Attualmente le grandi città con popolazioni di 5-10 milioni e mega-città con oltre 10 milioni di abitanti rappresentano solo il 20% degli abitanti urbani del mondo. Nei Paesi in via di sviluppo le aree urbane sono relativamente piccole: circa il 50% della popolazione urbana totale, cioè 1,45 miliardi di persone, vive in città di 500mila abitanti o meno. Un dato, questo, destinato a cambiare rapidamente: secondo una proiezione della Fao, entro il 2030 la popolazione urbana nelle regioni meno sviluppate del mondo sarà di 4 miliardi di persone. L’80% di questi abitanti urbani vivrà in Africa, in Asia e in America Latina.

Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura i cambiamenti nelle economie rurali potrebbero avere un grande impatto e diventare fondamentali per aiutare centinaia di milioni di persone rurali a uscire dalla povertà. Questo aiuto dovrà però fare i conti con la crescita demografica: si prevede, infatti, che nei Paesi in via di sviluppo, tra il 2015 e il 2030, la fascia di popolazione compresa tra i 15 ei 24 anni di età aumenterà di circa 100 milioni arrivando a superare 1,3 miliardi di persone.

Se questo aumento demografico non sarà accompagnato da una equa redistribuzione di beni e servizi e non andrà nella direzione dell’eliminazione delle disuguaglianze, c’è il rischio concreto, dicono gli esperti, che le popolazioni rurali che si trasferiranno nelle città si aggiungano semplicemente ai ranghi dei poveri urbani.

Secondo il rapporto Fao “occorre mettere i milioni di giovani dei Paesi in via di sviluppo che entrano nel mercato del lavoro nelle condizioni di non dover scappare dalle aree rurali per sfuggire alla povertà”.

In questo senso il ruolo delle aree rurali può essere visto nell’ottica del raggiungimento dell’Obiettivo 1 dell’Agenda di Sviluppo 2030 ovvero mettere fine ad ogni forma di povertà nel mondo.

La migrazione urbana, poi, porta con sé non pochi problemi. Uno di questi è il lavoro informale.

L’urbanizzazione degli ultimi 15 anni in Africa non è infatti stata accompagnata dalla capacità di creare una proporzionale crescita di posti di lavoro. La maggior parte dei lavoratori africani sono oggi impiegati nell’economia informale e svolgono lavori ‘vulnerabili’. Il ‘sommerso’ rappresenta il 61% dell’impiego urbano e il 93% di tutti i nuovi lavori creati. La percentuale peggiora per le donne, per le quali il lavoro informale rappresenta il 92% di tutte le opportunità lavorative esistenti al di fuori dell’agricoltura.

Secondo il rapporto Un-Habitat del 2014, il 56% della popolazione urbana in Africa subsahariana vive in slum, ovvero in insediamenti di abitazioni precarie, non resistenti alle intemperie, con insufficiente spazio vitale, senza accesso all’acqua, ai servizi sanitari e a una adeguata sicurezza. Anche l’accesso ai beni pubblici è quasi nullo: il continente africano è caratterizzato infatti da molte delle città con maggiori diseguaglianze al mondo.

In molti casi la ‘segregazione sociale’ è lampante e segna uno spartiacque tra i poveri di città e la classe dei ricchi e super ricchi. Questo mette a rischio, ovviamente, la coesione sociale dei Paesi stessi e provoca alti tassi di criminalità e insicurezza.

Nell’urbanizzazione, poi, l’Africa si ritrova poi a fronteggiare sfide ambientali e di sviluppo. Dal rapporto 2016 dell’AfDB emerge che l’inquinamento dell’aria all’interno delle abitazioni (a causa dell’utilizzo di legna e carbone) è la prima causa di malattie respiratorie per donne e bambini negli insediamenti informali urbani. Inoltre il numero di morti per HAP (‘Household Air Pollution’, inquinamento da interni) è in aumento.

Un altro problema, poi, è quello che riguarda la scarsità di infrastrutture urbane, che non sono riuscite a tenere il passo con la crescita delle città.

Le migrazioni verso le città portano quindi con sé una serie di questioni che necessitano di essere analizzate. Si tratta infatti di un fenomeno in espansione, un flusso migratorio poco studiato ma che è e sarà sempre più attuale.

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