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Frontiere postsovietiche

In questo dossier sulle aree che corrono  lungo i confini di un’ampia Regione che era Unione sovietica e che ora è costellata di Stati e staterelli indipendenti, autonomi, contesi, esistono molte situazioni che si possono definire come vulcani dormienti o in ebollizione. Lo pubblichiamo nel momento in cui Vladimir Putin  si è assicurato un quarto mandato presidenziale con una sorta di  plebiscito che ha superato il 70% dei voti fissato come obiettivo per legittimare la sua rielezione. Questi “conflitti congelati” sono una delle sfide spesso irrisolte cui si trova di fronte il leader del Cremlino

di Giuliano Battiston

 Qualcuno li definisce “conflitti congelati”, ma sarebbe più opportuno paragonarli a vulcani, con esplosioni improvvise e, poi, lunghi periodi di attività continua, sotterranea, a bassa intensità. In confronto ai sanguinosi conflitti in Siria, Iraq, Afghanistan, quelli nei territori dell’ex Unione sovietica – Transnistria, Abkhazia, Ossezia del Sud e Nagorno-Karabakh – provocano poche vittime, ma dall’inizio degli anni Novanta continuano a produrre forte instabilità. E possono riaccendersi facilmente, anche per “effetto mimetico”, a causa di nuovi scontri militari, come quello in Ucraina.

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