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Il mondo alle armi tra trattati violati e numeri

Il mondo si sta riarmando: Se avevamo illusioni diverse, abbiamo davvero sbagliato. Dopo anni di flessione, la produzione e l’export  di armi hanno ripreso a salire, dal  2015-2016.

A livello globale la spesa in armi è di 1.676 miliardi di dollari, il 2,3% dell’intero prodotto interno lordo mondiale.

Al primo posto in classifica – per la spesa – ci sono gli Usa, seguiti da Cina, Arabia Saudita e Russia.

Secondo i dati del Sipri, (Stockholm International Peace Research Institute che spieghiamo nel box Chi fa Cosa) negli ultimi cinque anni l’aumento di spesa in sistemi d’arma ha raggiunto una crescita dell’8,4 per cento, livello che non si raggiungeva dal 1990. Gli acquirenti principali sono India, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Cina e Algeria, che da soli hanno comprato il 34 per cento di tutte le armi vendute.

Asia e Oceania si sono accaparrate il 43 per cento, mentre nel Vicino Oriente è finito il 29 per cento degli armamenti, l’Europa ne ha comprato l’11, America (esclusi gli Stati Uniti)  e Africa son rimaste a livelli più bassi.

Per quanto riguarda le vendite a capo della classifica ci sono ancora una volta Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Germania, che hanno contribuito il 74 per cento delle esportazioni totali. Usa e Russia, da soli, hanno raggiunto il 56 per cento.

Un discorso a parte va poi affrontato sulla Nato, creata per la collaborazione nella difesa delle Nazioni aderenti, della quale fanno oggi parte 28 Paesi.

Secondo l’articolo 5 del trattato di Washington: “le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell’America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse, nell’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dall’art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti attaccate, intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, compreso l’uso delle forze armate, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione dell’Atlantico settentrionale”.

La spesa per l’alleanza è in crescita, spinta dal protagonismo degli Usa. Nel gennaio del 2017 il presidente Trump ha richiamato all’ordine gli alleati, chiedendo loro di rispettare l’obbligo sancito nell’accordo: raggiungere il 2% di Pil in spesa militare.

Nel 2015 gli alleati europei nella Nato hanno speso per la difesa 253 miliardi di dollari contro i 618 miliardi spesi dagli Stati Uniti. Per rispettare l’accordo,  i Paesi europei dovrebbero aumentare di 100 miliardi di dollari il loro budget militare annuale,  visto che il loro contributo attuale non supera l’1,43% del prodotto interno lordo.

Altro dato interessante, quello sulle esportazioni: nel 2015 è finito nell’Africa subsahariana il 42% delle armi vendute dai Paesi Occidentali, in cambio di petrolio, gas, risorse minerarie e naturali, terra, controllo politico dell’area.

Tutto questo nonostante il trattato delle Nazioni Unite sul commercio internazionale di armi,  firmato nel dicembre 2014, vieti ogni esportazione bellica, di armi sia pesanti che leggere, verso Paesi che potrebbero usarle in violazione dei diritti umani.

I trattati, le loro violazioni, i numeri e i dati collegati al disarmo ci danno elementi utili per capire cosa sta accadendo e quantificare spese e costi collettivi della corsa alle armi. Ma l’analisi complessiva dei dati attorno alle guerre dimostra che – da solo – il disarmo non basta per garantirsi la pace. Serve di più.  Le guerre, infatti, si combattono non solo perché si dispone di armi più o meno evolute. Le guerre esplodono e si radicano a causa di ingiustizie sociali, ambientali, economiche. Il risultato è che si combatte con qualsiasi tipo di arma e i peggiori eccidi degli ultimi vent’anni sono stati compiuti con armi elementari.

Il disarmo  va quindi inserito come elemento importante in un contesto più ampio, che vede nel riequilibrio di risorse e ricchezze, nella migliore distribuzione di opportunità, nel rispetto di diritti come l’istruzione, la salute, il lavoro, la democrazia, il passaggio fondamentale per costruire la Pace.

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