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Un mondo (ancora) cosparso di mine

La diffusione di mine antipersona, di esplosioni, di feriti e di vittime civili non si può dire placata e, in molti casi, neppure diminuita. Il 4 aprile di ogni anno il mondo celebra la giornata internazionale di sensibilizzazione (vedi chi fa cosa) ma il rischio rilevato dai ricercatori è che non si stia facendo abbastanza.  Per condurre questo approfondimento è necessario analizzare il report annuale pubblicato dal Landmine and Cluster Munition Monitor, un’iniziativa che fornisce materiali e ricerche nell’ambito della Campagna internazionale per la messa al bando delle mine antiuomo (ICBL) e la Cluster Munition Coalition (CMC).

L’organizzazione produce rapporti annuali sul monitoraggio delle mine antiuomo e delle munizioni a grappolo, analisi su ogni singolo Stato, schede informative e mappe. Landmine Monitor fornisce infatti una panoramica globale degli sviluppi della politica, dell’uso, della produzione, del commercio e dello stoccaggio di mine, e include anche informazioni su contaminazione, liquidazione, feriti e assistenza alle vittime. Il Landmine Monitor esce ogni anno dal 1999. In Italia, portavoce dell’iniziativa è la Campagna italiana contro le mine.

Partiamo da una notizia positiva: nel periodo di riferimento (2016-2017) non vi sono state accuse sull’uso di mine antipersona da parte degli Stati membri del trattato sulla messa al bando delle mine (vedi focus 1). Il problema rimane però per i gruppi non governativi e per gli Stati che ancora oggi non hanno ratificato il trattato internazionale.

Il monitoraggio 2017 sulle mine antiuomo ha registrato un nuovo utilizzo di questo tipo di ordigno da parte di gruppi non governativi in Afghanistan, India, Iraq, Myanmar, Nigeria, Pakistan, Siria, Ucraina e Yemen.

In Nigeria l’ordigno è diffuso e utilizzato soprattutto dai militanti di Boko Haram, un’ organizzazione armata islamista. Sia nel 2016, sia all’inizio del 2017, l’UNMAS (l’Agenzia ONU per l’Azione contro le Mine) ha identificato l’uso estensivo di mine improvvisate da parte del gruppo terroristico nelle aree settentrionali della Nigeria.

In Afghanistan l’uso di mine improvvisate e altri dispositivi nel 2016 e nel 2017 è principalmente attribuito ai talebani, alla rete Haqqani e al gruppo Stato Islamico. La missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA) ha riferito che le forze antigovernative hanno utilizzato mine improvvisate in numeri decrescenti per tutto il 2016 e la prima metà del 2017. Tuttavia, l’UNAMA ha anche riferito che l’uso di mine improvvisate a piastra pressurizzata ha contribuito al 42% di aumento di vittime rispetto allo stesso periodo del 2016.

Il Landmine monitor tratta anche lo Yemen e sostiene che nell’aprile 2017, Human Right Watch ha riportato prove di un nuovo uso di mine antipersona nei governatorati di Aden, Marib, Sanaa e Taizz.

Nel conflitto iracheno non si hanno notizie sull’uso di mine antipersona da parte delle forze governative e della coalizione internazionale, ma il rapporto rileva che  sono utilizzate in modo massiccio dalle forze del gruppo Stato Islamico. Il gruppo terroristico ha infatti usato estensivamente mine terrestri, altri tipi di IED (ordigni di fabbricazione artigianale) e trappole esplosive.

A Mosul, decine di civili sono stati uccisi da mine. Il Landmine monitor riporta poi la notizia di mine improvvisate inserite attorno a fosse comuni, nel tentativo di uccidere giornalisti e operatori umanitari. Inoltre un tratto distintivo del gruppo IS, mentre continuava a perdere terreno in Iraq, era (ed è) lasciare sul terreno IED.

Tra settembre 2015 e gennaio 2017, sono state disinnescate 7.500 mine e altri ordigni dall’Iraq e dalla Siria. Il Landmine Monitor non è stato in grado di confermare le accuse di nuovi usi delle mine antipersona da parte gruppi non governativi in Camerun, Ciad, Iran, Libia, Mali, Niger, Filippine, Arabia Saudita e Tunisia. Nell’agosto 2016 in Libia è emersa una notizia secondo cui i militanti del gruppo Stato Islamico hanno posto delle mine prima della loro uscita forzata da Derna nella Libia orientale a metà 2015. Inoltre secondo i resoconti dei media, i militanti IS hanno piazzato mine antiuomo e ordigni esplosivi intorno a Sirte. Il rapporto non è stato però in grado di verificare le accuse.

In Mali sono state segnalate 39 vittime causate da mine improvvisate che sono state fatte detonare dai veicoli.  Inoltre nel 2015 l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) ha segnalato la presenza di mine antiuomo nel Fotokol e Mayo Moskota in Camerun. Nel rapporto emergono poi le Filippine, dove nel maggio 2017, l’esercito era impegnato in un conflitto armato con un gruppo armato islamista a Marawi e a Mindanao, che secondo quanto riferito, utilizzava mine improvvisate. Dubbi anche per la Tunisia, dove i gruppi di Jebel Al-Cha’anby, nel governatorato di QsreinWilaya Kasserine, vicino al confine con l’Algeria, hanno presumibilmente deposto mine antipersona.

Buone nuove invece per la Colombia, che per la prima volta dal 1999, non è coinvolta nel report. Le Forze armate rivoluzionarie (FARC) e il governo colombiano hanno firmato un accordo nel novembre 2016 per porre fine al conflitto armato. Ciò ha provocato l’arresto dell’uso diffuso da parte delle FARC di mine antipersona e la resa e la distruzione delle sue scorte.

Il Landmine Monitor fa  poi il monitoraggio dei dispostivi non esplosi (UXO) che ancora infestano il Globo. In una tabella sono riportate tutte le aree che ancora presentano ordigni. Tra queste, per fare qualche esempio ci sono il Sahara Occidentale, l’Oman, la Somalia e molte altre.

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