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A Gaza la morte non basta

di Federica Ramacci

Al Saint Joseph Hospital di Gerusalemme l’orrore della guerra lo sfiori appena. E non lo dimentichi. Qui sono stati trasportati circa 50 feriti colpiti dalle bombe dell’esercito israeliano in varie localita’ della Striscia di Gaza. Sono in condizioni gravissime. Solo alcuni sono in pericolo di vita ma per tutti la vita non sara’ piu’ la stessa. Questo e’ sicuro. Ne dovranno inventare una nuova.

Molti, la maggior parte, sono bambini. Iman ha 10 mesi, traumi su tutto il corpo, la testa, piccola, ricoperta di profonde ferite. Ha perso un occhio. E’ stato colpito a Gaza city.

Amir ha 7 anni, traumi alla testa, l’addome ricucito, con suture evidenti, dallo sterno al pube. E’ steso nel letto di ospedale e non sta fermo un secondo. E’ terrorizzato. Si muove, si agita, tiene gli occhi fissi, spalancati. Gli infermieri ci raccontano che appena arrivato non smetteva piu’ di urlare. Ora e’ migliorato dicono.

Salami e’ stato colpito dalle bombe a Rafah. Ha circa 10 anni. Ha riportato un trauma grave al midollo spinale. Non camminera’ piu’. Non c’e’ stato niente da fare.

Yousef ha piu’ o meno 12 anni. Quando e’ arrivato al Saint Joseph aveva la testa aperta da una bomba. Quello che dovrebbe starci dentro era fuori. La parte sinistra del cervello e’ compromessa. I segnali, ci dicono, sono di morte cerebrale. I medici stanno aspettando: “Se c’e’ anche solo una possibilita’ di ripresa opereremo, altrimenti dobbiamo alzare bandiera bianca”.

Abdel e’ stato colpito Khan Younis, avra’ anche lui intorno ai dieci anni. E’ magrissimo, una gamba amputata, ha dolori dapperutto, l’addome ricucito, si lamenta. Si lamenta tanto.

Ibrahim ha circa 43 anni, ustioni sul 90% del corpo. Sembrava dovesse morire invece e’ vivo e sta migliorando.

Al secondo piano dell’ospedale, tra i casi piu’ gravi, quelli ancora in pericolo di vita, c’e’ anche un uomo di 46 anni. Viveva a Gaza city. Il nome ce lo hanno sussurrato per non disturbarlo, non siamo riusciti a capirlo. Ci hanno detto che e’ forte, molto forte. Ha perso le due gambe. Il corpo ricoperto da ferite profonde. Sulla testa, l’addome, le braccia. E’ stato colpito mentre cercava di trascinare fuori di casa la madre, sulla sedia a rotelle, dopo che l’esercito israeliano aveva lanciato un razzo di avvertimento. Non ha fatto in tempo. La madre e’ morta. Lui e’ vivo per miracolo. A intervalli regolari spalanca gli occhi cercando di fare respiri profondi. Ma non e’ lucido. Non si accorge di noi.

Adel Misk, uno dei medici del Saint Joseph, ci spiega che “le armi usate sono fatte per mutilare anche a distanza di 12 metri dall’esplosione”. “La maggior parte dei pazienti arrivati qui -dice Misk – ha perso arti, ha lesioni addominali gravissime e ischemie cerebrali. Queste non capiamo ancora cosa le abbia provocate. Basta fare una tac e trovi le lesioni. Qui ci sono solo una cinquantina di casi, a Gaza sono migliaia. Quando sara’ possibile coordinarci con i medici nella Striscia di Gaza cercheremo di capire cosa li ha provocati”.

Al Saint Joseph Hospital di Gerusalemme arrivano in media 4 o 5 pazienti al giorno. E’ possibile grazie ad un accordo tra l’ospedale e il ministero della sanita’ palestinese. Vengono mandati alcuni dei casi piu’ difficili in base alle decisioni dei medici e degli ospedali di Gaza. I medici del Saint Joseph ci raccontano che l’ospedale ha mandato al valico di Erez le ambulanze per prelevare i feriti. A volte le autorita’ israeliane hanno dato il via libera solo dopo due o tre giorni. Hanno permesso solo ad un familiare di accompagnare il proprio caro ferito. “A Gaza – spiega il direttore del Saint Joseph Jamil Koussa- i feriti sono piu’ di 10mila e i posti letto negli ospedali sono 2mila. Qualunque sistema sanitario del mondo sarebbe al collasso in queste condizioni. Nessuno puo’ gestire da solo una tale quantita’ di feriti”. Alcuni dei pazienti dimessi dal Saint Joseph sono stati affidati a centri per la riabilitazione o strutture specializzate. Sono ospitati in alcuni alberghi di Gerusalemme e l’assistenza per loro e’ totalmente gratuita, l’ospedale stesso se ne fa carico. Il fatto e’, ci spiega il dottor Misk, che molti di loro non hanno piu’ una casa dove tornare. La popolazione palestinese, racconta, sta dimostrando “una solidarieta’ esemplare”. “E’ la nostra gente – dice Minsk – la ferita e’ nostra”. Gente comune, medici, psicologi, assistenti sociali tutti si stanno mobilitando per Gaza. Il Palestinian Medical Relief Society, una Ong con sede a Ramallah si occupa quotidianamente di organizzare una raccolta di beni di prima necessita’ per Gaza: medicine, acqua, latte in polvere, vestiti, coperte vengono imballati all’ingresso del Centro in attesa di partire per la Striscia. Davanti al Palestinian Medical Relief Society c’e’ un supermercato con un bancone dove e’ possibile acquistare beni per la popolazione della Striscia. E’ cosi’ un po’ ovunque nella West Bank.

Secondo l’ultimo aggiornamento dell’Ocha (UN Office for Coordination for Humanitarian Affairs in the Occupied Palestinian Territories) il numero dei palestinesi uccisi dai bombardamenti è di 1.999, di questi 1.434 sono civili. I feriti sono più di 10.000. Circa 1.000 dei 3.000 bambini rimasti feriti hanno subito danni permanenti. Il numero totale di sfollati interni è di 390.000 , ma è destinato a crescere. Circa 103.000 persone non hanno più una casa dove tornare. l’Unrwa si sta preparando ad ospitare tra i 65.000 e i 70.000 palestinesi sfollati nelle sue scuole.

Abbiamo scelto di non pubblicare le fotografie dei feriti in cura al Saint Joseph Hospital di Gerusalemme. Ci scusiamo con i familiari e con i lettori se abbiamo commesso errori riportando i nomi dei pazienti.

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