di Maurizio Sacchi
Mentre si moltiplicano le carovane che dal Centro America si dirigono alla frontiera con gli USA, per protestare contro le politiche sull’immigrazione di Trump, e per denunciare lo stato di guerra in cui vive la regione da decenni, l’allarme per i giornalisti che ne seguono le vicende è alto. Il CJP, il comitato internazionale per la protezione dei giornalisti, ha diffuso un comitato ai cronisti che coprono l’evento, raccomandando la massima cautela, e mettendoli in guardia.
Mentre scriviamo, il numero dei giornalisti uccisi negli ultimi dieci anni in Messico – il Paese dove è ferma la carovana partita dall’Honduras – ha superato i 100. Ma il fenomeno è ancora più rilevante, considerando le aggressioni e le minacce spesso non denunciate. In tutti questi casi, i giornalisti si stavano occupando di svelare l’infiltrazione dei cartelli criminali nelle istituzioni e la rete ormai consolidata di connivenze fra potere e crimine organizzato.
Nel 2014, la rivista di indagine sociale Nexos scriveva: “ [il numero] di reati impuniti è diventato insopportabile: rende evidente la violenza criminale e l’ inefficienza o la collusione delle autorità e della polizia contro la criminalità organizzata,nel grande affresco sanguinario della guerra contro il narco”. Come le esecuzioni extragiudiziali di Tlatlaya, compiute dall’esercito; quelle di Tanhuato, imputate alla polizia federale; il tragico conto dei giornalisti uccisi dal 2000 e, soprattutto, la scomparsa dei 43 studenti di Ayotzinapa, studenti liceali uccisi in massa da agenti di polizia. Un insieme di cose che ha dato una svolta a 180 gradi nella percezione dei responsabili .
Il fenomeno ha cessato dunque di essere percepito come una violenza da attribuire alle organizzazioni criminali, e ha iniziato a essere considerato una violenza di Stato. Da qui la tempesta nazionale e internazionale sui diritti umani che incombe sul Messico. Una guerra dalle dimensioni enormi: 10.000 morti e 22.000 dispersi, con una violenza impunita e uno Stato debole e complice, per omissione o commistione, di violazioni dei diritti elementari: alla vita, alla sicurezza, alla protezione delle vittime e alla punizione dei criminali.
“Il nostro sistema – scrive ancora su Nexos l’editorialista
Uno dei punti deboli del sistema informativo messicano è strutturale: la gran parte dei giornali e mezzi di comunicazione, inclusi quelli più critici col governo, in realtà dipendono da esso: giornali e emittenti vivono grazie agli annunci a pagamento degli enti pubblici. Che, in caso di attacchi ripetuti alle istituzioni, vengono ritardati o sospesi. Costringendo alla chiusura. E quando questi sistemi di condizionamento non bastano, si passa alle minacce. O alla eliminazione dei responsabili.
La cultura del narcotraffico sembra avere impregnato a fondo la società messicana, e qui si rende evidente quella che nella Colombia di Escobar veniva chiamata la “legge dei due metalli”: Oro o plomo”, oro o piombo, ovvero, se non posso comprarti, ti uccido. Saprà Lopez Obrador dare una risposta a questo cancro che ha pervaso il tessuto sociale del Messico?