di Maurizio Sacchi
Andrés Manuel López Obrador ha promesso di inviare 6.000 membri di una polizia militarizzata di nuova formazione nei suoi stati meridionali, con il compito specifico di bloccare l’esodo. E ha annunciato l’espansione di un programma conosciuto come Restate in Messico, che prevede che coloro che chiedono asilo negli Stati Uniti attendano in Messico che le loro domande vengano esaminate. Il suo Paese inoltre si è impegnato a fornire loro un impiego e programmi di integrazione.
Quello che “Amlo” – così viene chiamato dalla stampa il presidente – non ha concesso è che il suo Paese venisse dichiarato “terzo Paese sicuro”: questo avrebbe reso possibile che i
Lopez Obrador ha presentato il raggiungimento dell’accordo, in un discorso tenuto a Tijuana, sul confine con la repubblica stellata, come una vittoria di entrambe le parti; e ha espressamente parlato di “difesa della dignità nazionale”, per sottolineare che il Messico non cede a ricatti. Questo sembra in contraddizione però con quanto affermato durante la campagna elettorale, in cui Amlo aveva assicurato che, in tema di migranti, non avrebbe fatto “il lavoro sporco” per conto di altri.
Ma la creazione di questa Guardia Nacional di 6000 uomini potrebbe ben essere solo una mossa di facciata, vista la massa di persone che ogni anno si muove clandestinamente dall’istmo centroamericano verso il confine del Rio Grande. Pare improbabile che qualche migliaio di uomini possa far molto per arginare il flusso.
Non è difficile immaginare che l’applicazione delle tariffe minacciate avrebbe rappresentato un duro colpo per le economie di entrambi i Paesi, in una situazione resa già molto difficile dalla guerra commerciale fra Usa e Cina, che pare solo agli inizi. Questa conciliazione dell’ultimo momento pare più volta a rassicurare i rispettivi elettori, che a mutare nella sostanza il problema dei migranti.