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Dossier: La Nuova Via della Seta-1

(foto di Raffaele Crocco)

a cura di Alice Pistolesi

Il più grande progetto di diplomazia economica dai tempi del Piano Marshall o un nuovo strumento di espansionismo cinese? Opportunità e benefici per tutti o l’affermazione di un impero globale? I punti di vista attorno al progetto Belt and Road Initive (BRI) o Nuova Via della Seta sono molto diversi e spesso contrastanti.

Secondo la Cina si tratta di un progetto pacifico di rilancio della globalizzazione e del libero commercio che si fonda sulla logica del “win-win” (vincere-vincere) tra il gigante cinese e i Paesi partner. Questa logica, un perno della diplomazia cinese, è stata utilizzata anche per giustificare la ‘conquista’ del Continente africano di cui abbiamo parlato in un precedente dossier, sottolineando che in vari casi la vincita era quasi esclusivamente cinese.

Alcuni osservatori contestano il concetto di duplice vantaggio per Pechino e i suoi partner: secondo loro la Via della seta è solo la  proiezione della potenza cinese nel mondo.

Uno dei cavalli di battaglia della politica internazionale cinese è la non ingerenza  negli affari interni dei Paesi partner. In realtà i critici del progetto rilevano che non sia proprio così. Nel 2017 per esempio la Grecia ha bloccato una risoluzione europea alle Nazioni Unite critica nei confronti dei diritti umani in Cina. In altri casi la Cambogia, Paese molto allineato con Pechino, ha bloccato risoluzioni nell’Asean (l’associazione dei Paesi del sudest asiatico) o ha giocato in sede internazionale a favore della politica della Rpc della “One China” (contro Taiwan)

L’influenza cinese in Europa si sarebbe concretizzata, secondo vari osservatori, anche il 5 marzo 2019, quando l’Italia (unico Paese membro insieme alla Gran Bretagna) si è astenuta nel voto in Consiglio Ue sul regolamento che introduce nuove norme per esercitare un miglior controllo sugli investimenti diretti provenienti da Paesi terzi per motivi di sicurezza o di ordine pubblico.

E ancora, secondo molti, la Via della Seta è prima di tutto un progetto finalizzato a dare sfogo alla sovracapacità produttiva interna del Paese: in molti casi oltre il 90 per cento dei lavori viene affidato ad aziende cinesi e in altri casi la manodopera viene direttamente “importata” dalla Cina.

I detrattori del progetto sostengono che è stato pensato per sopperire all’aumento dei costi di produzione dei prodotti cinesi e per fronteggiare  il calo dell’economia nazionale perché sulla Nuova Via della Seta transiterebbero  principalmente i prodotti cinesi. Altrettanto vero è però che il progetto è stato pensato assai prima del raffreddamento dell’economia cinese (quindi semmai per impedirne un eccessivo riscaldamento) e che gli investimenti in infrastrutture (porti, strade, ferrovie), se aiuteranno l’export cinese, favoriranno l’import di altre merci e rimarranno comunque beni stabili del Paese dove sono stati costruiti.

Quali che siano le motivazioni strategiche ed economiche cinesi e i vantaggi che la Rpc intende derivarne, è infatti  difficile negare che si tratta di un piano di investimenti mastondotico su quasi l’intero pianeta  in un momento in cui la tentazione di molti Paesi è quella di chiudersi, di costruire muri e non certo strade  e ponti. Tanto che i cinesi sono diventati i più fervidi difensori della globalizzazione e della vecchia dottrina europea del laissez faire, la regola aurea del libero mercato.

Di seguito una nostra riproduzione su mappa di quello che probabilmente sarà la Nuova via della Seta

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