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Armi da Roma ad Ankara: il flusso milionario non si è fermato.

Tra gennaio e settembre del 2019  76,2 milioni di euro  di armamenti italiani hanno preso la via della Turchia di Erdogan. Questo, malgrado lo stop imposto dal Governo italiano alle forniture alle forze armate turche durante l’offensiva dell’esercito di Ankara in Siria. Lo documenta un articolo di Altreconomia  a firma di Duccio Facchini e Giorgio Beretta.

Secondo quanto riportano gli autori, in realtà il traffico è più che triplicato in un anno, poiché nello stesso periodo del 2018 il flusso era stato di 24,9 milioni di euro. Tra le aziende coinvolte appare anche la “Meccanica per l’elettronica e servomeccanismi” – MES- partner e fornitore della Difesa. Questo, mentre Ankara mostra i muscoli proprio davanti alle coste italiane.

Il parlamento turco ha approvato a larga maggioranza un disegno di legge che consente alle proprie truppe di essere dispiegate in Libia a sostegno del governo di Fayez al-Sarraj, con base a Tripoli, nella guerra civile che sta insanguinando il Paese. Il voto, preso durante una seduta speciale, arriva tra i timori che la minaccia dell’intervento turco, oltre a quella di altri concorrenti regionali, potrebbe intensificare la violenza in Libia. I deputati hanno votato 325-184 a favore dello spiegamento.La mossa, che per ora pare in gran parte simbolica, ha lo scopo di fare pressione sulle forze rivali in Libia, guidate dal gen Khalifa Haftar,  che negano la legittimità del governo di accordo nazionale. 

Ma le mire della Turchia sul Mediterraneo, non solo orientale,  sono dichiarate ed evidenti, e le sono già costate le sanzioni dell’Unione europea per le operazioni petrolifere al largo di Cipro. Nel caso della Libia, l’Italia si trova direttamente coinvolta non solo per gli interessi legati appunto agli idrocarburi, ma anche per tutta la problematica che accompagna i flussi migratori. Dovrebbe dunque essere interesse primario del nostro Paese evitare l’inasprirsi della crisi libica, oltre alle considerazioni più generali legate all’industria degli armamenti. 

L’inchiesta di Altreconomia rivela infine che, oltre che evidentemente inefficaci, le misure prese dal governo italiano dopo la repressione turca nel Rojava per interrompere la vendita di armi con una nazione dal comportamento sotto accusa e che da partner può passare ad avversario, sono anche impossibili da analizzare, perché inaccessibili. Chiedere chiarezza su questo punto a chi ha la responsabilità di disegnare il ruolo dell’Italia sul sempre più complesso scacchiere mediterraneo è quindi doveroso, come portare alla luce le troppe zone d’ombra che coprono il business degli armamenti.

(re/ma/sa)

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