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La battaglia del grano si rigioca a New York

di Gianna Pontecorboli

New York – Quando, il 22 luglio scorso, la Russia, l’Ucraina , la Turchia e l’Onu hanno firmato a Istanbul il ”Black Sea agreement”, l’accordo per l’esportazione del grano ucraino, l’intero Mondo ha sperato che la crisi alimentare che minacciava oltre un miliardo e mezzo di persone fosse stata almeno in parte alleviata . Adesso, però, proprio quell’accordo rischia di creare nuove tensioni durante la settimana di apertura dell’Assemblea Generale dell’Onu. Giusto pochi giorni fa, parlando a Vladivostok, Putin ha attaccato il programma, sostenendo che ”quasi tutto il grano esportato dall’Ucraina non viene inviato ai paesi in via di sviluppo più poveri ma ai paesi dell’UE” e ha minacciato di abbandonare l’accordo quando scadrà a novembre. Dall’Onu, è arrivata una rapida smentita alle accuse. Amir Abdullah, il coordinatore dell’organizzazione internazionale che ha condotto le trattative e ora segue gli sviluppi della situazione, ha subito affermato che dai porti ucraini sono partite, dopo la firma dell’accordo, 106 navi e che il 47 per cento dei carichi e’ andato alla Turchia e ai paesi asiatici, il 17 per cento all’Africa e il 36 per cento ai paesi dell’Unione Europea.

Da allora i prezzi dei cereali sono scesi, ma non in tutti i Paesi. Rebeca Grynspan, direttrice dell’UN Conference on Trade and Development, che ha anche lei partecipato ai negoziati di Istanbul, ha ammesso parlando con i giornalisti che il lavoro del World Food Program, che si occupa della distribuzione per motivi umanitari ai paesi piu’ poveri, ha bisogno di essere accelerato e migliorato. La fiducia di base sul successo dell’accordo pero’ e’ rimasta. La vera molla che la spinto Putin a minacciare di lasciare l’accordo, tuttavia, è diversa. Parlando con i giornalisti per presentare la prossima Assemblea Generale, lo stesso Antonio Guterres ne ha accennato dicendo di aver parlato con lo Zar dei problemi dell’esportazione dei fertilizzanti dalla Russia e di essere impegnato a cercare un compromesso.

Secondo le indiscrezioni trapelate sulla stampa, accanto all’accordo sul grano era stato infatti firmato a Istanbul anche un memorandum rimasto finora riservato e con cui l’Onu si impegnava a cercare di cercar di risolvere la questione le esportazioni di alimentari e prodotti fertilizzanti a base di ammoniaca dalla Russia. I fertilizzanti, infatti, non sono parte delle sanzioni occidentali, come non lo sono i prodotti alimentari, ma gli importatori privati e le compagnie di assicurazioni sono sospettosi e evitano gli acquisti per paura che le navi che trasportano l’ammoniaca possano essere vittime di attacchi o di non ottenere i permessi di attracco nei porti di destinazione. Secondo gli ultimi dati, le esportazioni sarebbero calate del 25 o del 30 per cento. Per la Russia, si tratta di una perdita relativamente modesta di ricavi, ma per gli agricoltori dei paesi piu’ poveri, la mancanza o il rincaro dei fertilizzanti russi rischia ovviamente di mettere in pericolo gia’ da ora i raccolti del prossimo anno.Per Putin, così, la questione dell’ammoniaca significa soprattutto avere un’arma in più per far pressione all’Onu , proprio in un momento per lui particolarmente difficile sia dal punto di vista politico che militare.

Adesso, sempre secondo le indiscrezioni, esisterebbe un progetto studiato da Rebeca Grynspan , che prevederebbe la spedizione dei fertilizzanti a una compagnia basata a New York attraverso il porto ucraino di Pivdennyi. Prodotti dalla più grande azienda russa del settore, la Uralkali, i fertilizzanti verrebbero acquistati dalla Trammo americana per essere poi distribuiti sul mercato mondiale. Il presidente ucraino Zelensky , però, ha già dichiarato all’agenzia Reuters di esser contrario al passaggio dell’ammoniaca attraverso il territorio ucraino se prima non verrà risolto il problema dello scambio dei prigionieri di guerra. E sotto il tetto del Palazzo di Vetro , in un’Assemblea Generale già carica di tensioni e di problemi irrisolti, tutti stanno lavorando per non far crollare le speranze di chi ha fame.

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