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La guerra uccide anche la biodiversità

di Anna Molinari

Alle scuole elementari, nell’ora di geografia studiavamo che il continente Europeo a est è delimitato dalla catena degli Urali: un limite naturale che, “al di qua”, include anche una parte della Russia. Con la guerra la natura ha in effetti in comune una cosa: è questione di confine. L’Ucraina, per una strana beffa del destino, ospita habitat di frontiera in cui si mescolano specie asiatiche e specie europee, che rischiano l’estinzione assieme alla ricchezza di una terra fertile da troppo tempo messa a dura prova dai conflitti, non solo in queste settimane (menzionare la catastrofe di Cernobyl è sufficiente, soprattutto per le pesanti ricadute abbattutesi anche sull’avifauna e di gran lunga oltre i confini del Paese).

Per il Paese granaio d’Europa – lo stiamo capendo più che mai in questi giorni – Zelensky aveva annunciato dopo la COP26 un piano di riforestazione che avrebbe dovuto rimediare almeno in parte a enormi opere di disboscamento (più di un milione di ettari di boschi negli ultimi 20 anni), programma bruscamente interrotto dagli eventi recenti, che forse avrebbe potuto migliorare la situazione almeno per il bisonte, il più grande mammifero europeo che da tempo non pascola più a queste latitudini perché decimato dalla caccia e dal bracconaggio, nonché dalla perdita del suo habitat naturale (per ora reintrodotto con successo in Romania, Slovacchia e Polonia). Destino diverso invece per il tarpan, uno degli ultimi cavalli selvatici asiatici, ormai considerato estinto (nonostante alcuni tentativi di incroci e una sporadica presenza di suoi discendenti in Mongolia).

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