Site icon atlante guerre

L’economia americana vola, e Trump canta vittoria – 2

La guerra degli annunci sul successo della politica economica dell’amministrazione Trump assume una grande importanza in chiave elettorale americana: un’impennata della borsa alza le quotazioni di Trump, col risultato di incoraggiare il mantenimento della linea dura nel conflitto commerciale in corso con la Cina.

Ma le critiche espresse dal Fondo monetario internazionale, e trasformate in una critica radicale dalla concorrente democratica Elizabeth Warren, (di cui rendiamo conto nella parte 1 di questo servizio), trovano fondamento in alcuni dati di fatto:

La General Electric, che della guerra delle tariffe si è beneficiata, ha appena annunciato e messo in atto la chiusura del suo impianto produttivo a Salem, negli Stati uniti. E la prossima apertura di un impianto di produzione in India, con investimenti per centinaia di milioni di $, “dove poter pagare gli operai 3,5 $ l’ora”, secondo la testimonianza al Guardian di Londra di uno dei lavoratori licenziati. Tutt’altro che un caso isolato. 

La scorsa settimana Walmart, il più grande datore di lavoro americano, ha annunciato che avrebbe licenziato 570 dipendenti, nonostante portasse a casa più di $ 2 miliardi per gentile concessione di Trump e dei tagli repubblicani delle imposte alle società. L’anno scorso, la società ha chiuso dozzine di negozi in America, lasciando senza lavoro migliaia di americani. Allo stesso tempo, Walmart ha investito oltre $ 20 miliardi nel riacquisto di azioni proprie, il che aumenta la retribuzione dei dirigenti Walmart e arricchisce gli investitori facoltosi, ma non fa nulla per l’economia. 

“Al centro del sistema americano ci sono 500 aziende giganti con sede negli Stati Uniti, ma che producono, acquistano e vendono cose in tutto il mondo. La metà dei loro dipendenti è non americana, situata al di fuori degli Stati Uniti. Un terzo dei loro azionisti è non americano. Queste gigantesche corporazioni non hanno particolari motivi di favorire i cittadini americani . La loro unica fedeltà e responsabilità è verso i loro azionisti.Faranno dunque tutto il necessario perchè i prezzi delle azioni vadano il più in alto possibile, mantenere bassi i salari, combattere i sindacati, riclassificare i dipendenti come appaltatori indipendenti, esternalizzare ovunque nel mondo la produzione costi meno.”

 Questo è il punto di partenza di una lunga analisi del confronto Usa- Cina di Robert Reich, ex segretario del lavoro degli Stati uniti, professore di politica sociale dell’Università della California a Berkeley. Che continua, nella sua analisi per il Guardian di Londra “Dimentica la Cina: è il sistema economico americano che è guasto”, in un’impietosa disamina delle differenze, in termini di beneficio per la popolazione, dei rispettivi Paesi:

“il sistema economico americano si concentra sulla massimizzazione dei rendimenti degli azionisti. E sta raggiungendo questo obiettivo: venerdì, lindice S & P 500 ha raggiunto un nuovo massimo storico. Ma gli americani medi non hanno visto guadagni significativi nei loro redditi per quattro decenni, adeguati all’inflazione.

Il sistema economico cinese, al contrario, si concentra sulla massimizzazione della crescita della Cina. E sta raggiungendo questo obiettivo. Quarant’anni fa la Cina era ancora arretrata e agraria. Oggi è la seconda economia più grande del mondo, sede della più grande industria automobilistica del mondo e alcune delle aziende tecnologiche più potenti del mondo. Negli ultimi quattro decenni, centinaia di milioni di cinesi sono stati sollevati dalla povertà. 

Al centro dell’economia cinese ci sono società statali che prendono in prestito da banche statali a tassi artificialmente bassi. Queste aziende statali bilanciano gli alti e bassi dell’economia, spendendo di più quando le società private sono riluttanti a farlo. Sono anche motori di crescita economica che fanno gli investimenti ad alta intensità di capitale di cui la Cina ha bisogno per prosperare, compresi gli investimenti in tecnologie all’avanguardia. I principali pianificatori e le aziende statali cinesi faranno tutto il necessario per migliorare il benessere del popolo cinese e diventare l’economia più grande e potente del mondo.

Dal 1978, l’economia cinese è cresciuta in media di oltre il 9% all’anno. La crescita è rallentata di recente e le tariffe americane potrebbero portarla al 6% o al 7%, ma è ancora più veloce di quasi qualsiasi altra economia al mondo, compresi gli Stati Uniti.”

Ma aspetta. L’America è una democrazia e la Cina è una dittatura, giusto? “così prosegue Reich. “È vero, ma la maggior parte degli americani ha poca o nessuna influenza sulle scelte politiche, e per questo motivo il taglio delle tasse di Trump ha fatto così poco per loro. Questa è la conclusione dei professori Martin Gilens di Princeton e Benjamin Page della Northwestern , che hanno analizzato 1.799 questionari politici per conto del Congresso, e hanno scoperto che “le preferenze dell’americano medio sembrano avere un impatto minuscolo, quasi zero, statisticamente non significativo sulla politica”.

La comunicazione, e le sue distorsioni, sono la ragione e il nodo della ininfluenza della volontà degli elettori, e del prevalere dell’interesse di gruppi anonimi anche nelle scelte dei cittadini. Un terreno di scontro ai confini   fra esperienza di vita e  comunicazione distorta, che tramite i social sono divenuti fattore cruciale nei processi elettorali, e nella definizione delle agende politiche. Gli annunci di vittoria di Donald Trump avvengono di regola via Twitter; Twitter ha battuto il record di contatti giornalieri di recente, superando i 180 milioni; e le azioni si sono impennate di conseguenza.

E Twitter e i social, come ci ricorda il procedimento in corso al Congresso di Washington sulle interferenze di Mosca sulle ultime presidenziali americane, sono diventati armi potentissime di manipolazione di dati e di coscienze. Forse la direzione della guerra commerciale che affronta le due vere superpotenze sarà decisa da questa guerra di cifre e di messaggi, falsi e non, e da quanto l’America che non decide apra gli occhi sulla realtà non virtuale. (-2. La prima parte è disponibile su questo sito)

Nell’immagine in evidenza uno scatto di Robert Boehle per Unplash

di Maurizio Sacchi

Next: Afghanistan, i conti delle vittime
Exit mobile version