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Scelte facili ma controverse a Palazzo di Vetro

di Gianna Pontecorboli da New York

Quando domani l’Assemblea Generale dell’Onu voterà per decidere la nuova composizione del Consiglio dei Diritti Umani, le sue scelte saranno tanto facili quanto controverse. Tra i Paesi in lizza per entrare a far parte dei 47 membri del Consiglio, infatti, solo il gruppo dei paesi asiatici e del Pacifico ha cinque concorrenti per quattro seggi, la Cina, l’Arabia Saudita, il Nepal, il Pakistan e l’Uzbekistan. Per l’Europa orientale, saranno in lizza per due posizioni la Russia e l’Ucraina, per l’America Latina il Messico, Cuba e Bolivia non avranno opposizioni, per l’Europa, nessuno contrasterà Gran Bretagna e Francia, e altrettanto succederà per i cinque candidati africani, la Costa d’Avorio, il Malawi, il Gabon e il Senegal. Per l’organizzazione ginevrina creata nel 2006 – con il voto contrario degli Stati Uniti e di Israele –  che già negli anni passati e’ stata al centro di non poche polemiche per il suo accanimento nei confronti di Israele e a causa della presenza in consiglio di Paesi come il Venezuela, è sicuramente arrivato quest’anno un momento difficile.

Per un organo delle Nazioni Unite che nella sua carta invita tutti gli Stati a ”tener conto del contributo che gli stati hanno dato alla promozione e alla protezione dei diritti umani” prima di esprimere il proprio voto e che richiede ai membri del Consiglio di ”mantenere i più alti standard di promozione e protezione dei diritti umani”, le candidature praticamente senza opposizione della Cina, dell’Arabia Saudita, di Cuba e della Russia hanno suscitato nei giorni scorsi un coro di proteste all’interno e fuori dal Palazzo di Vetro. ”Un voto non competitivo come questo è una presa in giro della parola elezioni”, ha spiegato parlando con la stampa internazionale Louis Charbonneau, direttore di Human Rights Watch all’Onu: ‘I gruppi regionali dovrebbero essere competitivi e quando non c’e’ scelta, i Paesi membri dell’Assemblea Generale dovrebbero rifiutarsi di votare per dei candidati non adatti”. ”I Paesi che abusano regolarmente dei diritti umani non dovrebbero avere un seggio nel Consiglio dei diritti umani – ha poi aggiunto – che’ la Cina e l’Arabia Saudita hanno non soltanto commesso massicce violazioni interne, ma hanno anche cercato di indebolire quel sistema internazionale dei diritti umani di cui fanno parte”.

Per quanto riguarda la Cina, il problema non è nuovo. Già a fine giugno, un gruppo di 50 esperti dell’Onu ha chiesto la creazione di un meccanismo per controllare il rispetto dei diritti umani in Cina e l’appello è stato raccolto e condiviso da 400 diverse organizzazioni della società civile. Poche settimane dopo, anche 39 paesi membri dell’Onu, provenienti da diverse aree geografiche hanno stigmatizzato con durezza le violazioni dei diritti umani in Xinjiang, a Hong Kong e in Tibet da parte del governo cinese. ”Siamo molto preoccupati per la situazione in Xinjiand e per i recenti sviluppi a Hong Kong,”ha dichiarato in un comunicato firmato anche dagli Stati Uniti, dal Canada , dalla Gran Bretagna e da diversi altri paesi europei l’ambasciatore tedesco all’Onu Christoph Heusgen. Al comunicato , che ha anche chiesto alla Cina di facilitare una missione dell’alto commissario per i diritti umani presso la minoranza musulmana in Xinjiang, Pechino ha risposto , sembra, con alcune minacce di conseguenze economiche e politiche nei confronti dei piccoli Paesi per scoraggiarli a sottoscriverlo e con dei piccoli comunicati di parere opposto sottoscritti da Cuba e dal Pakistan. Adesso, con l’avvicinarsi delle elezioni, sono stati numerosi i dissidenti che hanno cercato di far sentire la propria voce per scoraggiare i Paesi a votare per il gigante asiatico.

“La Cina corre per il mandato triennale per la quinta volta, Durante il periodo di un anno in cui non era eleggibile, il draconiano governo di Xi Jinping ha aumentato la repressione dei diritti umani”,ha spiegato Yang Jianli , uno dei membri della Citizen Power Initiatives for China parlando con i giornalisti internazionali. Tra le violazioni dei diritti umani, il dissidente ha incluso anche la gestione della pandemia del Covid 19, che ha privilegiato la stabilità politica mettendo a rischio le vite umane. ”Se ci fosse un’elezione per il ”Consiglio degli abusatori dei diritti umani” sarebbe appropriato votare per la Cina come leader”, ha scherzato amaramente. Anche per quanto riguarda l’Arabia Saudita e Cuba, e in misura appena minore la Russia, le proteste di Human Rights Watch e dei dissidenti contro le prospettive di elezione sono state dure.

“L’Arabia Saudita malgrado i piani di riforma annunciati, continua prendere di mira i difensori dei diritti umani e i dissidenti, compresi i difensori dei diritti delle donne. C’e’ stata poca chiarezza sugli abusi passati, compresa la brutale uccisione di Jamal Khashoggi. Trentatre Paesi che fanno parte dell’attuale consiglio dei diritti umani hanno denunciato le violazioni saudite e la coalizione guidata dai sauditi continua a commettere crimini di guerra in Yemen”, ha denunciato Human Right Watch. La Russia, da parte sua, e’ stata accusata soprattutto per le violazioni commesse in Siria e per aver usato il suo potere di veto al Consiglio di Sicurezza , spesso con l’aiuto della Cina, per continuare a chiudere un occhio nei confronti dell’utilizzo di armi chimiche da parte del governo di Assad.

Adesso, nell’imminenza del voto, gli appelli agli Stati perché contribuiscano con la loro astensione a salvare l’immagine già compromessa dell’organizzazione ginevrina si stanno moltiplicando. Ben pochi, però, si illudono che saranno ascoltati. ”Non e’ una cosa buona per i diritti umani se i peggiori violatori saranno eletti – dice Louis Charbonneau – fortunatamente neppure i governi piu’ abusivi sono stati sono stati in grado di impedire al Consiglio di portare alla luce le violazioni nel mondo, anche se ci hanno sicuramente provato”.

 

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