di Elisa Elia
L’acqua è da sempre collegata alla vita, una risorsa tanto preziosa, soprattutto in alcune aree, da poter essere usata come arma di sopraffazione e addirittura di annientamento dei popoli oltre che di dominio nei rapporti con altri Stati. Un caso emblematico in questo senso è la Turchia di Erdoğan. Proprio in
La stazione di Alouk rifornisce l’intera regione, fra cui i due campi di Al Hol e Areesheh, e dall’inizio dell’invasione nell’ottobre 2019 è stata danneggiata e bloccata più volte. Oggi «è ridotta al 20% della sua capacità e l’acqua che arriva è molto poca», continua il co-presidente. «Si stima che 1.2 milioni di persone siano state private dell’acqua». Nonostante la capacità dell’Amministrazione Autonoma di mettere in campo delle alternative, la situazione rimane complessa e pericolosa, soprattutto se si aggiunge l’emergenza sanitaria da covid19.
Ma questo episodio si situa all’interno di una precisa strategia della Turchia, che può vantare un fattore geografico determinante:
«Ci sono diversi motivi alla base del GAP: economici, sociali (per disperdere e assimilare la popolazione curda), militari (per impedire i movimenti della guerriglia)», spiega Ercan Ayboga, attivista curdo del Mesopotamian Ecology Movement, movimento
Nel corso del 2019, intanto, Erdoğan ha completato la costruzione della diga di Ilisu, nel sud-est della Turchia, che ha comportato la scomparsa della città millenaria Hasankeyf. Ma non solo: «Grazie alla diga di Ilisu Erdoğan potrà esercitare maggiore pressione nei confronti dell’Irak, dal momento che per la prima volta detiene un controllo determinante sulle acque dell’Eufrate che scorrono in quel paese», commenta Ercan Ayboga. «È un caso unico nella storia in cui uno Stato utilizza l’acqua come arma in modo così intenso».
Ma, nonostante difficoltà e repressione, la società civile continua a mobilitarsi e a proporre alternative sul tema dell’acqua e dell’ecologia in generale. Nella Siria del Nord e dell’Est,
cooperative di donne nell’area. In Turchia il Mesopotamian Ecology Movement, che comprende 52 organizzazioni, continua a intessere relazioni, a informare e a lavorare con la società per sensibilizzare e costruire un’autonomia dal basso.
Questi movimenti sono consapevoli che quando l’acqua viene usata come arma o concepita come risorsa da sfruttare, nascono disuguaglianze, migrazioni forzate e conflitti. Per ciò la loro sfida ha una portata ampia: proporre una visione del mondo diversa, di cui l’ecologia è pilastro. Per far capire che l’essere umano non è qualcosa di separato e diverso dalla natura ma, anzi, ne fa parte. E che l’acqua, così come tutto il resto, è una fonte di vita da preservare e condividere secondo criteri di giustizia e uguaglianza nella sua distribuzione.
In copertina: acque azzurre, foto di Leo Rivas